Filippo Bonamici, nato a Roma, cresciuto a Dublino e di base adesso a Berlino, è un nome che dovreste segnarvi sul taccuino degli “ascolti da fare”; se infatti già non conoscete e amate il suo disco d’esordio “Beautiful Sadness”, uscito sotto il suo moniker Fil Bo Riva, è il momento di farlo senza indugiare oltre.

Vi perderete nelle sonorità ariose e nelle armonie di brani come “L’over” e “L’impossibile”, pezzi in cui il cantato alla Jeff Buckley di Filippo si mescola con il pop di classe di Cesare Cremonini.

Ho avuto l’opportunità di fare quattro chiacchiere con lui prima del suo set in apertura agli Imagine Dragons alla Visarno Arena di Firenze, a dimostrazione di come Fil Bo Riva stia scalando le vette del successo ad una velocità impressionante, come capita ai grandi talenti.

Ciao Filippo, ci incontriamo in questa occasione particolare, suoni in apertura ad un evento gigantesco, agli Imagine Dragons, che giusto ieri (sabato per chi legge) hanno aperto la finale di Champions League. Come ti senti?

Guarda, mi sono reso conto solo ieri che aprivano la finale, leggendo le news, mi sono detto: “Oddio, aprono la finale!”. Per il resto mi sembra tutto abbastanza surreale, si avvererà tutto solo quando saliremo sul palco. Per il momento sono ancora rilassato, poi magari subentrerà quel pizzico di nervosismo che è una motivazione in più.

In questi pochi mesi stai già ottenendo riconoscimenti enormi, “Beautiful Sadness” è uscito solo a marzo scorso ed è il tuo primo lavoro dopo un EP d’esordio. Come hai vissuto questi passaggi repentini verso il successo?

È stato un lavoro che si è sviluppato piano piano, da fuori magari sembra tutto veloce, ma in realtà lavoravamo sul progetto dal 2015, quindi mi sembrano giusti i tempi di maturazione. In 4/5 anni è normale vedersi in live più grandi, mi sembra un’evoluzione giusta. Escluso l’evento di oggi che è veramente enorme ed è un jolly pescato dal mazzo, che però speriamo si possa ripetere in futuro.

Come è stata l’accoglienza del pubblico italiano nel tuo tour nei club?

Sono stati i primi concerti in queste città, tranne Milano, dove ero stato già nello scorso tour, e devo dire che l’accoglienza è stata ottima. Anche se magari qui abbiamo meno pubblico rispetto alla Germania, gli italiani hanno il doppio dell’energia, ti regalano veramente serate magiche. È stato bellissimo.

Ecco, quali sono le differenze tra il pubblico italiano e il pubblico tedesco o di altri Paesi europei, se le hai notate?

Ce ne sono diverse, secondo me la più evidente è proprio il modo di dare energia all’artista che suona, l’empatia, su questo in Italia sei più aiutato.

Tu sei cresciuto all’estero, tra Dublino e Berlino, cosa ha dato questo al tuo suono?

Abitare in Irlanda e in Germania ha contribuito sicuramente al mio modo di vedere la musica, per esempio in Irlanda dal 2006 al 2010 ho conosciuto una quantità enorme di artisti che non avrei potuto conoscere in Italia o in Germania. Passando poi in Germania ho conosciuto altri tipi di artisti e ho imparato lì un approccio che ritengo giusto alla musica, sono cresciuto come persona e come artista grazie ai posti in cui ho vissuto.

Una cosa che mi ha colpito di “Beautiful Sadness” è la cura degli arrangiamenti, quanto lavoro hanno richiesto?

È la parte di lavoro che ha richiesto più tempo, per portare le canzoni a suonare come suonano adesso.

Il concetto di “Beautiful Sadness” è assolutamente perfetto per riassumere il tuo suono.

Sì, il disco viene da una sofferenza, un percorso di crescita. Mi piace citare Tenco quando diceva “Scrivo canzoni quando sono triste perché quando sono felice, esco”. Io non mi ritengo una persona triste, sono una persona normalissima, ma mi piace farmi ispirare da cose più malinconiche. Un giorno magari il mio suono si svilupperà in un’altra direzione ma per ora mi sento ancora in questo mood.

Se dovessi citare alcuni artisti che ti hanno ispirato mentre scrivevi il disco, a chi penseresti?

Ce ne sono veramente troppi, è una domanda difficile.

Io ci ho trovato qualcosa di Jeff Buckley…

Grazie del complimento, non è stato uno dei miei ascolti durante le registrazioni. Forse le influenze principali mie sono ancora quelle beatlesiane, sono cresciuto con loro e sono il motivo per cui ho iniziato a suonare. Credo che nel modo di lavorare sulle armonie ci sia qualcosa dei Beatles in “Beautiful Sadness”.

Come rendi live il lavoro sulle armonie che si apprezza tanto nel disco?

Ancora non siamo al punto in cui le armonie sono le stesse del disco, anche perché servirebbero 5 Filippo che cantano (sorride, ndr), però sicuramente ho portato i membri della mia band (tutti “made in Germany”) più vicino al modo di intendere la musica che ho io con tanto lavoro in sala prove.

Hai già in mente un percorso futuro di sviluppo del tuo suono?

Ancora no, però ho imparato che, visto che il disco è piuttosto complesso negli arrangiamenti, sto scrivendo canzoni più semplici dal punto di vista della melodia, questa è l’unica cosa che posso dire, per il resto è ancora tutto in divenire.

Quale è stato l’approccio, dopo i tuoi periodi all’estero, alla vita italiana e quali sono i lati positivi e negativi che hai trovato nella nostra realtà musicale rispetto a quelle straniere che hai sperimentato?

Mi sono allontanato dall’Italia fisicamente ma mai emozionalmente, ho sempre continuato ad ascoltare artisti italiani oltre alla musica inglese. Mi sembra difficile riuscire a dire quali siano gli aspetti in cui, ad esempio, la scena italiana potrebbe imparare da quella tedesca, anche perché ce ne sono altrettanti in cui potrei dire l’opposto. Credo che mescolare i modi di fare, i vari aspetti, ognuno con le proprie differenze, resti la vera forza.

C’è una data del tour che ti è rimasta nel cuore, a parte il mega-evento di oggi (sabato per chi legge, ndr)?

Te ne dico due, la prima data a Milano e poi la data di Amburgo. Due serate magnifiche.

Nel 2016, quando avevi suonato anche a Milano, avevi aperto il tour di Joan as a policewoman. Adesso hai un artista con cui vorresti collaborare o di cui vorresti aprire il live?

Anche più di uno, te ne dico due: italiano ti direi Cesare Cremonini, mentre come artista internazionale vorrei aprire un live di Bon Iver, anche se musicalmente facciamo cose diverse. Sarebbe un sogno.