Interviste

Le interviste di Concertionline ai protagonisti della musica: tutta la musica italiana e internazionale raccontata dalle parole degli artisti e delle band. Musica rock, pop, metal e non solo.

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Il leader dei Gomez sarà in Italia con il suo tour solista per 4 date

Manca una settimana esatta al ritorno in Italia di Ben Ottewell, fondatore e voce dei Gomez, una delle più influenti band indie inglesi di fine anni ’90.

Ben porterà in Italia il suo tour solista, facendoci assaporare i brani dell’ultimo lavoro “A man apart”, del 2017, ma certo non dimenticandosi di eseguire i classici dei Gomez, a partire dai brani di “Bring It On”, che nel 2018 ha compiuto 20 anni.

Abbiamo potuto fare quattro chiacchiere con lui in vista del tour italiano.

Ciao Ben, l’anno scorso “Bring It On”, il primo album dei Gomez, ha compiuto 20 anni, come è cambiato il tuo approccio alla musica in questo arco di tempo?

Non molto. Sono ancora interessato alla dinamica e alla collaborazione, ancora esaltato dall'idea di esplorare diversi stili. 
Il mio approccio solista è diverso dal lavoro che faccio con la band. Cerco di rendere le cose un po' più snelle, un po' più semplici senza essere semplici. 
Scrivendo di nuovo con la band, come stiamo facendo, torniamo allo stesso caos organizzato.

Se ti guardi indietro cosa pensi di "Bring It On" 20 anni dopo?

Avevo una relazione abbastanza complicata con quel disco, era un po' come guardare le foto di te stesso da bambino. 
Sentivo gli errori, pensavo che le cose fossero troppo lente, rabbrividivo pensando ai testi! 
Avendolo suonato dal vivo l'anno scorso con il tour dell'anniversario, ne sono diventato piuttosto orgoglioso. 
È un disco completamente diverso da qualsiasi altra cosa.

In "A man apart", il tuo disco più recente, hai parlato di come il populismo si facesse forza sulle paure della gente.
Due anni dopo le cose sembrano perfino peggiorate...

Purtroppo hai assolutamente ragione...

Da inglese pensi che i tuoi compatrioti abbiano capito quanto sono stati presi in giro nella campagna refendaria sulla Brexit?
Come vedi adesso la situazione?

È un assoluto imbarazzo nazionale. 
Ciò che vedo sono le conseguenze di 10 anni di austerità inutile imposti dal nostro governo, 
livelli di disuguaglianza che sono tanto negativi quanto nell'era vittoriana e una stampa di destra che serve 
e si nutre di insicurezza, nazionalismo e paura fuori luogo. 
Per anni i Tories hanno incolpato l'UE e l'immigrazione per i problemi che hanno creato tagliando i finanziamenti ai servizi sociali 
e questo è tornato a perseguitarli in un referendum che la stragrande maggioranza di Westminster non voleva. 
E' stata creata una polemica molto pericolosa.

Personalmente credo che la musica e la cultura in generale siano l'unico modo per uscire da questo periodo oscuro e "arrabbiato" 
in cui viviamo, andando in giro per l'Europa che clima hai trovato e trovi a livello umano? 
Credi ancora che le canzoni abbiano la forza di portare messaggi "salvifici"?

È una domanda difficile.
Penso che la musica e la cultura abbiano il potere di riflettere e commentare e penso che la comunità positiva che le persone sperimentano durante un concerto, la simbiosi, in particolare in questo mondo sempre più atomizzato, 
può essere una forza straordinariamente potente.

A che punto è il prossimo disco di inediti di Ben Ottewell?

Prima ci sarà un disco dei Gomez. Siamo a buon punto!

In "A man apart" hai esplorato diversi generi musicali, in particolare l'Americana, sarà così anche nel prossimo lavoro?

Sempre, nel prossimo disco dei Gomez ancora di più.

Torni in Italia dopo lo scorso tour autunnale, qual è il tuo legame col nostro Paese?

Non vediamo l'ora di suonare lì come band e adoro suonarci in solo. 
Il pubblico è sempre stato grandioso e anche il cibo non è affatto male!

Ultima domanda, come funziona il processo creativo di Ben Ottewell, cosa ti ispira a scrivere un testo?

Dopo più di 20 anni ancora non ne sono sicuro di come funzioni. Le canzoni arrivano oppure no, come vogliono loro.

Queste sono le 4 occasioni in cui potrete vedere ed ascoltare Ben Ottewell in Italia:

1 Luglio - Faenza - Strade Blu - Museo Carlo Zauli - Ingresso gratuito
2 Luglio - Trieste - Hot in the City - Bastione Rotondo - Castello di S.Giusto
3 Luglio - Prato - Festival delle Colline - Chiesa di S. Francesco a Bonistallo, Poggio a Caiano
4 Luglio - Milano - Germi luogo di contaminazione

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Filippo Bonamici, nato a Roma, cresciuto a Dublino e di base adesso a Berlino, è un nome che dovreste segnarvi sul taccuino degli “ascolti da fare”; se infatti già non conoscete e amate il suo disco d’esordio “Beautiful Sadness”, uscito sotto il suo moniker Fil Bo Riva, è il momento di farlo senza indugiare oltre.

Vi perderete nelle sonorità ariose e nelle armonie di brani come “L’over” e “L’impossibile”, pezzi in cui il cantato alla Jeff Buckley di Filippo si mescola con il pop di classe di Cesare Cremonini.

Ho avuto l’opportunità di fare quattro chiacchiere con lui prima del suo set in apertura agli Imagine Dragons alla Visarno Arena di Firenze, a dimostrazione di come Fil Bo Riva stia scalando le vette del successo ad una velocità impressionante, come capita ai grandi talenti.

Ciao Filippo, ci incontriamo in questa occasione particolare, suoni in apertura ad un evento gigantesco, agli Imagine Dragons, che giusto ieri (sabato per chi legge) hanno aperto la finale di Champions League. Come ti senti?

Guarda, mi sono reso solo ieri che aprivano la finale, leggendo le news, mi sono detto: “oddio, aprono la finale!”. Per il resto mi sembra tutto abbastanza surreale, si avvererà tutto solo quando saliremo sul palco. Per il momento sono ancora rilassato, poi magari subentrerà quel pizzico di nervosismo che è una motivazione in più.

In questi pochi mesi stai già ottenendo riconoscimenti enormi, “Beautiful Sadness” è uscito solo a marzo scorso ed è il tuo primo lavoro dopo un EP d’esordio. Come hai vissuto questi passaggi repentini verso il successo?

E’ stato un lavoro che si è sviluppato piano piano, da fuori magari sembra tutto veloce, ma in realtà lavoravamo sul progetto dal 2015, quindi mi sembrano giusti i tempi di maturazione. In 4/5 anni è normale vedersi in live più grandi, mi sembra un’evoluzione giusta. Escluso l’evento di oggi che è veramente enorme ed è un jolly pescato dal mazzo, che però speriamo si possa ripetere in futuro.

Come è stata l’accoglienza del pubblico italiano nel tuo tour nei club?

Sono stati i primi concerti in queste città, tranne Milano, dove ero stato già nello scorso tour, e devo dire che l’accoglienza è stata ottima. Anche se magari qui abbiamo meno pubblico rispetto alla Germania, gli italiani hanno il doppio dell’energia, ti regalano veramente serate magiche. E’ stato bellissimo.

Ecco, quali sono le differenze tra il pubblico italiano e il pubblico tedesco o di altri Paesi europei, se le hai notate?

Ce ne sono diverse, secondo me la più evidente è proprio il modo di dare energia all’artista che suona, l’empatia, su questo in Italia sei più aiutato.

Tu sei cresciuto all’estero, tra Dublino e Berlino, cosa ha dato questo al tuo suono?

Abitare in Irlanda e in Germania ha contribuito sicuramente al mio modo di vedere la musica, per esempio in Irlanda dal 2006 al 2010 ho conosciuto una quantità enorme di artisti che non avrei potuto conoscere in Italia o in Germania. Passando poi in Germania ho conosciuto altri tipi di artisti e ho imparato lì un approccio che ritengo giusto alla musica, sono cresciuto come persona e come artista grazie ai posti in cui ho vissuto.

Una cosa che mi ha colpito di “Beautiful Sadness” è la cura degli arrangiamenti, quanto lavoro hanno richiesto?

E’ la parte di lavoro che ha richiesto più tempo, per portare le canzoni a suonare come suonano adesso.

Il concetto di “Beautiful Sadness” è assolutamente perfetto per riassumere il tuo suono.

Sì, il disco viene da una sofferenza, un percorso di crescita. Mi piace citare Tenco quando diceva “scrivo canzoni quando sono triste perchè quando sono felice, esco”. Io non mi ritengo una persona triste, sono una persona normalissima, ma mi piace farmi ispirare da cose più malinconiche.

Un giorno magari il mio suono si svilupperà in un’altra direzione ma per ora mi sento ancora in questo mood.

Se dovessi citare alcuni artisti che ti hanno ispirato mentre scrivevi il disco, a chi penseresti?

Ce ne sono veramente troppi, è una domanda difficile

Io ci ho trovato qualcosa di Jeff Buckley…

Grazie del complimento, non è stato uno dei miei ascolti durante le registrazioni. Forse le influenze principali mie sono ancora quelle beatlesiane, sono cresciuto con loro e sono il motivo per cui ho iniziato a suonare. Credo nel modo di lavorare sulle armonie ci sia qualcosa dei Beatles in “Beautiful Sadness”.

Come rendi live il lavoro sulle armonie che si apprezza tanto nel disco?

Ancora non siamo al punto in cui le armonie sono le stesse del disco, anche perchè servirebbero 5 Filippo che cantano (sorride, ndr), però sicuramente ho portato i membri della mia band (tutti “made in Germany”) più vicino al modo di intendere la musica che ho io con tanto lavoro in sala prove.

Hai già in mente un percorso futuro di sviluppo del tuo suono?

Ancora no, però ho imparato che, visto che il disco è piuttosto complesso negli arrangiamenti, sto scrivendo canzoni più semplici dal punto di vista della melodia, questa è l’unica cosa che posso dire, per il resto è ancora tutto in divenire.

Quale è stato l’approccio, dopo i tuoi periodi all’estero, alla vita italiana e quali sono i lati positivi e negativi che hai trovato nella nostra realtà musicale rispetto a quelle straniere che hai sperimentato?

Mi sono allontanato dall’Italia fisicamente ma mai emozionalmente, ho sempre continuato ad ascoltare artisti italiani oltre alla musica inglese.

Mi sembra difficile riuscire a dire quali siano gli aspetti in cui, ad esempio, la scena italiana potrebbe imparare da quella tedesca, anche perchè ce ne sono altrettanti in cui potrei dire l’opposto. Credo che mescolare i modi di fare, i vari aspetti, ognuno con le proprie differenze, resti la vera forza.

C’è una data del tour che ti è rimasta nel cuore, a parte il mega-evento di oggi (sabato per chi legge, ndr)?

Te ne dico due, la prima data a Milano e poi la data di Amburgo. Due serate magnifiche.

Nel 2016, quando avevi suonato anche a Milano, avevi aperto il tour di Joan as a policewoman. Adesso hai un artista con cui vorresti collaborare o di cui vorresti aprire il live?

Anche più di uno, te ne dico due: italiano ti direi Cesare Cremonini, mentre come artista internazionale vorrei aprire un live di Bon Iver, anche se musicalmente facciamo cose diverse. Sarebbe un sogno.

 

In una piovosa serata autunnale raggiungiamo il Serraglio nella periferia milanese per la presentazione Live di “Prima che Gli Assassini” nuovo disco di Sarah Stride, e nell’evento stesso abbiamo l’opportunità di approfondire con la nostra intervista, la conoscenza di quest’artista sulle tracce delle nuove frontiere delle musica italiana d’autore.

1) Concertionline.com : Intanto una domanda per capire la tua passione per la musica e le altre arti. Da dove nasce e quali finalità ti poni? Il tuo nome d’arte ha un particolare significato per te?
Sarah : Credo che nella vita alcune cose non si scelgano, semplicemente non si può fare a meno di praticarle, come se davvero fossero loro a scegliere te. Ho sempre avuto uno sconfinato mondo immaginario, magico, e ancora adesso che sono grande credo sia la mia più grande risorsa e salvezza. La musica, la letteratura, la pittura, il cinema fanno parte di questo mondo, della necessità di elevare la vita al di là del contingente, della piccolezza del lato oggettivo delle cose. Per me fare musica significa questo, poterla condividere significa poter mostrare che esiste “un’altra parte” della quale troppo spesso ci si dimentica e che invece è la ricchezza più grande che possediamo.
Stride, il mio nome d’arte, oltre che essere formato dall’inizio e la fine del mio cognome (Demagistri), mi rappresenta sia nella scelta degli estremi che in una forte connotazione caratteriale appunto “stridente” ed è un nome al quale sono molto legata perché scelto con un caro amico che non c’è più e che nella sua vita ha sposato completamente tutto ciò di cui ho scritto sopra.

2) Concertionline.com : Come definiresti la tua musica non tanto in un genere definito ma in una dimensione comunicativa. Quale ?

Sarah :Sono convinta che la musica abbia un grande potere e nel momento in cui diciamo qualcosa abbiamo una grande responsabilità. Quello che cerco di fare è di indagare il sottosuolo, la zona in ombra che appartiene ad ogni essere umano e di riportarla in superficie, restituirla trasformata in qualcosa di luminoso e positivo. Ecco, attraverso la mia musica quello che mi preme di più è mostrare questa possibilità, la conversione dei demoni in alleati.

3) Concertionline.com:  Parlaci del nuovo disco. Si notano notevoli differenze in termini di sonorità da quello d’esordio. Questa è la direzione che vuoi prendere musicalmente e nella quale ti senti a tuo agio da qui all’infinito?
Sarah: Si, in questo disco ho decisamente abbandonato le consuetudini alt-rock per indagare in profondità la propensione verso un cantautorato più denso, per certi versi più scuro e l’elettronica asciutta, diretta ma contemporaneamente molto tribale di Kole Laca si è sposata perfettamente con i testi, scritti a quattro mani con Simona Angioni e con la loro urgenza. Detto questo, anche se ora mi sento molto a mio agio con questo sound, che continuerò sicuramente ad indagare, non ho idea di cosa potrà succedere nei prossimi lavori in termini di arrangiamento!
4) Concertionline.com :La situazione del live ti da ulteriori opportunità comunicative  rispetto alle registrazioni in studio? Quali aspetti preferisci dei concerti ?
Sarah: Credo nell’importanza di entrambi i momenti e che le possibilità che i live offrano non siano maggiori ma semplicemente diverse. Amo molto stare in studio, potrei rimanere tranquillamente tre ore a scegliere un rullante! Pensa, che nella registrazione dei miei primi lavori, quando registravo le voci avevo assolutamente bisogno che ci fosse qualcuno ad ascoltarmi come per dirigere e in qualche modo “dedicare” a un’altra persona quello che stavo facendo. Ultimamente invece, amo lavorare da sola, svuotarmi di me stessa e mettermi a servizio della canzone in modo che possa uscire nella sua verità semplicemente passando attraverso di me. Nella dimensione live questi due aspetti invece coincidono, sono anni in cui sto lavorando a far tacere il mio ego per vivere il momento performativo come fosse un rito al quale partecipo io insieme al pubblico ma in una comunione e dedizione totale.
5) Concertionline.com: Le tue influenze musicali se ce ne sono cosa rappresentano nel percorso creativo di una tua canzone.
Sarah :La musica ha una permanenza straordinaria nella memoria, nel corpo, di conseguenza sarebbe molto sciocco pensare di non essere influenzati dai propri ascolti in quello che si produce. Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto ascolti molto diversificati e in quello che scrivo continuo a trovare il grande amore per immensi cantautori italiani come De Andrè, Fossati, il Trip Hop, l’Alternative Rock, il Post-Punk, la musica mediorientale, la classica e molto altro ma quando mi immergo nella scrittura di un album ho bisogno di fare silenzio e generalmente ascolto pochissima musica, cercando di rimanere con i sensi aperti e pronti a raccogliere altri tipi di influenze.
6) Concertionline.com: Se dovessi citare un solo artista del passato (o presente) con il quale duetteresti o del quale ti piacerebbe fare una cover quale sarebbe?
Sarah: David Bowie da sempre e per sempre.
7) Concertionline.com : A quale concerto sei stata ultimamente che ti è particolarmente piaciuto ?
Sarah: Qualche mese fa sono stata invitata da un amico giornalista ad un concerto di Burt Bacharach. Lasciando da parte il fatto che, oltre al rispetto per un grandissimo musicista e compositore, musicalmente non ho nessuna affinità stilistica, né particolare interesse per le sue produzioni, posso sinceramente dirti che sono rimasta incantata dall’umiltà, l’entusiasmo, la delicatezza e autenticità di un uomo ormai novantenne, che con un filo di voce ha cantato una delle sue ultime canzoni (dicendo: “Spero che vi piaccia”) commuovendo profondamente tutte il pubblico presente a teatro. Davvero una grande lezione di stile e bellezza. Altri due concerti molto belli a cui sono recentemente stata, sicuramente Mark Laneghan e i Low.
8) Concertionline.com : Quali progetti per il 2019 ? Puoi anticiparci qualcosa ad esempio sulla tua attività dal vivo ?
Sarah :Per il 2019 la priorità sarà quella di promuovere questo album da tutti i fronti, abbiamo in cantiere nuovi video e stiamo lavorando alla programmazione del tour che sarà a breve reso pubblico. Poi a livello creativo, sono già con la mente ad un prossimo lavoro per cui mi immagino sicuramente impegnata nella scrittura di nuovi brani.
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Certamente Sarah Stride si era già fatta notare per la sua voce con le sue 2 prime uscite; l’omonimo esordio del 2012 seguito da un album di cover di canzoni italiane Anni 60 ma è nel 2017 che la stessa ha dato nuova linfa alla sua giovane carriera con l’EP “Schianto”  che verrà poi integrato completamente in questo nuovo disco che segna decisamente un ulteriore svolta molto interessante e promettente.

Prima che Gli Assassini è realizzato in collaborazione con Kole Laca (Il Teatro degli Orrori, 2Pigeons) e Manuele Fusaroli (The Zen Circus, Nada, Andrea Mirò), e i testi scritti a quattro mani con Simona Angioni; il  disco mette in risalto le sonorità del tutto personali dell’artista: La Voce di Sarah è sicuramente la protagonista,  capace di proporre una musica d’autore colta ma immediata allo stesso tempo, veicolata attraverso l’elettronica suonata , con uno stile che segue le tendenze attuali di questo genere.  Anche la stessa formazione live rispecchia questo clichè affiancando ai suoni della chitarra elettrica in sottofondo e le basi elettroniche a fare da protagoniste.

Notevole il  singolo “Pensieri Assassini” dove troviamo l’essenza di Sarah Stride in un interessante melting pot tra la sua voce che  affonda le proprie radici nelle tradizioni , su una base decisamente internazionale  fatta di synth e campionamenti ; Megasimento fa il paio con un ritmica molto accattivante e il timbro di voce di Sarah superlativamente in tono.

Nella prima traccia Schianto e soprattutto nella 3 i Barbari percepiamo un interessante ricerca di un suono stratificato con la voce di Sarah sul livello più alto a compenetrare le basi di un drumming a volte sincopato a volte più fluido e Il synth che galleggia in uno strato intermedio.

I testi sono pungenti, surreali, visionarie litanie che si dipanano fluide sulla musica. Stride è capace di condurre le tonalità in modo eccellente su tutte le frequenze  e L’Uomo d’Oro è un ulteriore dimostrazione di versatilità.

Troviamo anche un interessante cover di “La Torre” di Franco Battiato qui riproposta  con una cadenza di bpm decisamente più bassa e perfettamente inserita nel disco.   C’è anche Le Catene Corte con un bel riff di chitarra e la sognante Madre a concludere le 11 tracce del disco.

 

 

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In occasione dell’annuncio della loro unica data in Italia dell’ 11 Dicembre al Locomotiv di Bologna gli Hard Rockers Svedesi H.E.A.T.  ci hanno concesso un intervista in esclusiva che ci darà modo di conoscere un pò di più le sensazioni della band nella loro attività Live.

Infatti la band sta proseguendo il tour promozionale per l’ultimo album,Into The Great Unknown, pubblicato lo scorso 22 settembre per earMusic; il disco è il loro quinto album in studio e vede la luce dopo ben un anno e mezzo di intenso songwriting e un viaggio in Thailandia per la fase di registrazione. La band si è infatti recata a Bangkok per registrare presso i Karma Studios, guidati dal pluripremiato produttore Tobias Lindell.

 

E così come prima domanda abbiamo chiesto :

Concertionline.com :Cosa Vi aspettate in termini di interazione con il pubblico durante un vostro Live ? Siete più concentrati sulla performance in se stessa oppure sul comunicare con il pubblico?

Jona (tastierista della Band): “ Per noi l’interazione è tutto. Durante un concerto degli H.E.A.T  non ci focalizziamo solamente  ed esclusivamente sul suonare “bene”  gli strumenti o cantare . Per noi l’importante è creare un atmosfera di festa a 360 gradi e ognuno del pubblico è invitata a partecipare! In termini di interazione penso che Erik (cantante e frontman) spenda come minimo il 30% dello show giù nella prima fila in mezzo alla gente, o anche al bar perchè no o in qualunque luogo dell’evento dove ci sia da divertirsi.

Concertionline.com: Preferite suonare nel vostro paese la Svezia o all’estero? In termini di risposta del pubblico notate delle differenze  ad esempio tra Italia o UK ?

Jonaper noi è un grande privilegio durante le tournee conoscere ed incontrare più gente possibile pronta a divertirsi con la nostra musica in qualsiasi città o paese . Una cosa è sicura però , più a Sud vai più la folla ti fa sentire il calore e l’entusiasmo.

Concertionline.com: Ognuno di Voi ha differenti atteggiamenti o sensazioni durante i Live; potete descrivere con un solo sostantivo  quale è il più significativo per ognuno di Voi ?

JonaENERGIA è quello che meglio sintetizza  la nostra visione e questo credo che valga per ognuno di noi.

Concertionline.com: Dove prendete l’ispirazione per i vostri show ? C’è qualche band del passato che amate in particolar modo per i loro live ?

Jona: Io personalmente sono un grande fan degli Iron Maiden e ho sempre amato la loro energia e come interpretano lo show con il pubblico. Lo stesso vale per gli Hardcore Superstar e penso di non aver mai visto un loro show brutto.

Concertionline.com: Chi è il perfezionista nella band ad esempio nell’accordare gli strumenti o per un particolare rituale prima dello show. C’è qualche episodio del “dietro le quinte” che ci volete raccontare?

Jona: Jimmy il nostro bassista ad esempio ama i propri strumenti; delle volte lo chiamiamo gruppo-Jay da quanto sono un tuttuno ! Prima di salire sul palco ci stringiamo tutti la mani  e ci auguriamo che sia una grande serata. Questo rituale è ormai diventato abituale per noi oltre a berci un bel paio di birre prima di iniziare. Come ti ho detto i nostri concerti devono essere visti come dei grandi party dove divertirsi tutti insieme !

Concertionline.com: Per finire quali sono i piani per il 2019 ed in generale per il Vostro futuro ?

Jona: Intanto terminare il nostro Tour tra Novembre e Dicembre. Successivamente all’inizio 2019 faremo una mini tournee in Inghilterra insieme agli Skid Row. I piani successivi dovrebbero prevedere di entrare in studio in estate per poter dare alle stampe un nuovo disco entro la fine del 2019. Abbiamo già parecchio materiale con almeno 14 – 15 tracce demo e tantissime nuove idee pronte per essere realizzate . Come dire rimanete sintonizzati e avrete presto nostre notizie !

Relativamente alla genesi dell’ultimo disco “Into The Great Unknown”, Dave Dalone, chitarrista, afferma: “Durante la realizzazione di questo album ci siamo sentiti tutti un po’ come degli astronauti per la prima volta in viaggio verso lo spazio. Siamo entrati in studio dopo un anno e mezzo di pausa, senza sapere quale sarebbe stata la direzione che avremmo intrapreso, senza sapere quale sound sarebbe scaturito dall’album. Ci siamo imbarcati per un viaggio senza sapere con cosa saremmo tornati ma in qualche modo, lungo la strada, i pezzi hanno iniziato ad andare al proprio posto. Le canzoni si sono rivelate più sperimentali rispetto ai precedenti album degli H.E.A.T. Non c’è motivo di rifare lo stesso album più e più volte solo perché funziona. Alla fine vuoi che le canzoni trasmettano tutto il loro potenziale e se questo significa cambiare le regole di un certo genere, piuttosto che intraprendere delle strade sconosciute, allora che sia così.

 

Dal 25 giugno sarà di nuovo in Italia per 5 imperdibili appuntamenti una delle band seminali per la storia del rock "made in USA", i Dream Syndicate, guidati da Steve Wynn, con cui abbiamo parlato della reunion della band e dei loro progetti futuri.

Fin dal 1981, anno in cui si sono originariamente formati, i Dream Syndicate sono stati gli alfieri principali del cosiddetto “Paisley Underground”, la scena rock statunitense losangelina che faceva della psichedelia, una psichedelia che ammiccava al punk, il suo marchio di fabbrica: sono così diventati, grazie a dischi come “The days of wine and roses” o “Medicine show”, un gruppo seminale per il rock mondiale.
Scioltisi nel 1988, fino a 10 anni fa ipotizzare una reunion sembrava impossibile, ma poi, nel 2012, Steve Wynn, mente e anima della band, sorprende tutti e, dopo una comunque fruttuosa carriera solista, decide che è il momento di riportare in scena i Dream Syndicate.
Tornata sulle scene, nel 2017 la band californiana ha addirittura inciso un nuovo disco, “How did I find myself here?”, che ha portato in giro in un fortunatissimo tour anche italiano lo scorso novembre (costellato di sold out).
A fine mese torneranno di nuovo nel nostro Paese per cinque imperdibili date. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Steve Wynn per farci raccontare il ritorno in scena dei Dream Syndicate e cosa prevede il loro futuro.

Ciao Steve, innanzitutto grazie del tuo tempo: dunque, nel 2012, dopo ben 24 anni, decidi che è il momento di riportare in scena i Dream Syndicate, cosa ti ha spinto a farlo?

“Ciao, ma guarda per quei 24 anni siamo comunque sempre rimasti amici e in contatto con Dennis, Mark, Karl e Paul, anche se non suonavamo più insieme, poi nel 2012 ci siamo detti, con Dennis e Mark (Duck e Walton, batteria e basso, ndr) perchè non provarci? Ho contattato anche Karl e Paul (Precoda e Cutler, chitarristi della band, ndr) ma mi hanno detto che per loro non era più il momento per tornare con la band, così ho coinvolto Joe Victor, che già suonava con me nei miei tour solisti ed eccoci qua”.

Hai dichiarato più volte che “How did I find myself here?” è direttamente influenzato dal vostro primo album, “The days of wine and roses”, quali sono i maggiori punti di contatto?

“Il suono, credo che sia rimasta intatta quell’urgenza di fare psichedelia in un certo modo, siamo un gruppo rock e quello è rimasto intatto, anzi adesso sappiamo bene chi siamo, siamo più convinti e più sicuri di noi stessi e di ciò che ci piace”

Credi che la tua carriera solista abbia in qualche modo influenzato il nuovo lavoro dei Dream Syndicate?

“Sicuramente sì, tutto ciò che facciamo ci spinge a migliorarci, ad essere musicisti migliori e a fare tutto per il meglio, evolvendoci, quindi certamente l’esperienza che mi ha portato anche la carriera solista si riflette su questo disco, così come per gli altri le esperienze musicali che hanno fatto in questi quasi 30 anni.”

Qual è il legame, se c’è, che lega i brani di “How did I find myself here?”

“Bella domanda, credo che anche qui si tratti del suono, sono brani che sentiamo nostri, fatti in un certo modo: siamo una band che fa rock psichedelico e ci piace farlo così, dopo più di 30 anni e questi brani sono solidi, sono esattamente ciò che sono i Dream Syndicate, si deve solo chiudere gli occhi e sognare.”

Tra circa un paio di settimane sarete di nuovo in Italia dopo i sold out di novembre scorso: vi aspettavate una simile accoglienza dopo il vostro ritorno?

“Ci speravamo, ma tutto questo va oltre le nostre più rosee aspettative. La cosa che mi ha colpito è che forse non ci sono tutti i nostri vecchi fan a vederci adesso, ma si sono aggiunte nuove generazioni, gente che ha conosciuto i Dream Syndicate con questo disco e magari ignora i precedenti.
Quello che vogliamo fare noi, è farli sognare con la nostra musica, come abbiamo sempre cercato di fare.”

Quali sono i progetti nel futuro dei Dream Syndicate?

“Sicuramente la band va avanti, siamo già proiettati nel futuro: a luglio entreremo in studio per registrare le nuove canzoni per un nuovo album, non so come saranno, ma la nostra idea è di portare avanti il nostro suono, di cui siamo sempre più consapevoli.”

Queste le cinque date italiane dei Dream Syndicate nel dettaglio:

25 giugno – Bologna – BOtanique
26 giugno – Sestri Levante (GE) – Mojotic Festival
27 giugno – Gardone Riviera (BS) – Anfiteatro del Vittoriale
28 giugno – Roma – Monk
29 giugno – Avellino – Auditorium Conservatorio Cimarosa

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Stasera parte da Prato il tour estivo della band torinese, diventata famosa per un concerto... su un treno!

Quando la celebrità bussa alla porta come un colpo di fortuna, dopo essersi fatti il mazzo su e giù per i palchi di tutta Italia, e un treno in ritardo si trasforma in una meravigliosa opportunità, perchè alla fine per divertirsi basta suonare, non importa dove: è quello che è successo agli Eugenio in Via Di Gioia (Eugenio Cesaro, Emanuele Via, Paolo Di Gioia e Lorenzo Federici), che a febbraio si sono trovati su un Italo Torino – Roma con 6 ore di ritardo e hanno deciso, per passare il tempo e allietare gli esasperati passeggeri, di improvvisare su quel treno un concerto, proposta ben accolta dai controllori che li hanno portati in giro per le carrozze.

Fortuna ha voluto che il video di quella loro estemporanea trovata sia diventato virale e che ne abbiano parlato i maggiori quotidiani (lo trovate su Repubblica.it a questo link) dando alla band, giunta al secondo album, “Tutti su per Terra” (il primo si chiama “Lorenzo Federici”, per omaggiare il bassista, dato che il nome della band è composto dall’insieme dei nomi degli altri tre membri) una visibilità straordinaria.

Proprio in questi giorni è in partenza la tranche estiva del tour, che li vedrà esibirsi questa sera, venerdì 18 maggio, a “Prato a tutta birra”, in una data gratuita nella città toscana, in compagnia dei Modena City Ramblers.

Ne abbiamo parlato con il batterista, Paolo Di Gioia:

Stasera sarete a suonare a Prato, come sta andando il tour? Avete notato l’exploit avuto dopo l’episodio avvenuto su Italo e la successiva ospitata a Radio Deejay in “Deejay chiama Italia”?

Il tour sta andando bene, abbiamo fatto diversi sold out, tra cui Firenze e Bologna: da febbraio sicuramente gli addetti ai lavori si sono accorti più di noi, è nato tutto per caso ma siamo molto contenti. Quando tu credi in un progetto e poi ci lavori intensamente per 5 anni poi ti capita anche il colpo di fortuna che ti dà quella spinta in più. L’importante è insistere.

Questo mi fa pensare che poi i meccanismi che ti fanno conoscere al grande pubblico siano veramente strani: uno si sbatte un sacco di tempo per la promozione ed il resto e poi tutto avviene istantaneamente per un colpo di genio estemporaneo…

“Sì è vero, però tutto fa, nel senso che non avremmo mai suonato sul treno se non avessimo avuto l’attitudine di suonare ovunque. Abbiamo suonato in primis per strada, per cui figurati.  Diciamo che questo aiuta la botta di fortuna che poi serve sempre.”

Voi siete l’ennesima espressione della scena torinese degli ultimi anni (da Bianco a Levante a Willie Peyote, che suonerà a Prato domani), da cosa dipende secondo voi?

“Sì, con Willie dovevamo suonare insieme a Prato, poi per un incrocio di date non siamo riusciti. Per quanto riguarda la scena torinese, credo che Torino abbia sempre avuto un forte underground musicale, ci sono tante realtà che faticano poi ad uscire anche per il fatto che magari non hanno una spinta dagli addetti ai lavori, però adesso stiamo uscendo bene. E’ un periodo, bisogna saperlo sfruttare: adesso è il periodo di Roma e Torino.”

Parliamo un po’ del vostro secondo disco, “Tutti su per Terra”, come è nato? E poi non posso non chiederti della copertina che capovolge in qualche modo il mito di Atlante che sorregge il mondo…

Questo disco è nato suonato per strada e nasce dalla quotidianità, molti brani parlano del rapporto tra uomo e società, uomo e futuro: abbiamo voluto dare questa idea anche nella copertina, dove è il mondo che sorregge Atlante e non il contrario.

Come la vedi la società adesso? I musicisti hanno sempre un punto di vista privilegiato alla fine.

La società di oggi deve un po’ svegliarsi, noi parliamo molto del futuro e della natura: dobbiamo curare il mondo dove siamo e avere un bel rapporto con esso, che spesso manca. Bisogna correre ai ripari al più presto.

Visto che avete scritto un disco in cui si parla molto di quotidianità, dell’uomo, mi viene da chiederti se osservando la gente in tour avete già scritto cose nuove.

“Sì, già in questi giorni siamo in studio e stiamo registrando due brani nuovi, due singoli che dovrebbero uscire non so ancora quando, ma credo a breve. Un singolo è nato interamente da Lorenzo Federici, proprio durante questo tour. Vediamo se riusciremo a suonare entrambi i pezzi nuovi già nelle date estive del tour.”

Quanto l’attitudine da buskers vi aiuta a stare sul palco? Cosa ci dobbiamo aspettare da un vostro live?

Guarda ci aiuta tanto, ci aiuta ad essere improvvisatori e a fare anche del teatro oltre che della musica sul palco: è un mix delle due cose e il pubblico tende a divertirsi. Noi facciamo capire alla gente che noi ci divertiamo un sacco a stare sul palco, non abbiamo barriere con nessuno. Interagire col pubblico è molto importante.

Ecco, mi incuriosisce sapere qual è la reazione che ha avuto più spesso la gente che magari vi ha conosciuto attraverso un live, a scatola chiusa, senza avervi ascoltato?

“Mi sono proprio divertito”, questa è la frase che ci hanno detto più spesso.

Queste le date estive dove potrete vedere live gli Eugenio in Via Di Gioia:

18.05.18 Prato A Tutta Birra – Prato
19.05.18 Arci Mu – Parma
24.05.18 Casa della Musica – Napoli
25.05 Eremo Club – Molfetta (BA)
01.06.18 Bella Vista Social Fest – Borgo a Buggiano (PT)
08.06.18 Giornata dell’arte – Biella
10.06.18 Ama Music Festival – Bassano Del Grappa (VI)
16.06.18 Albori Music Festival – Sulzano (BS)
21.06.18 Magnolia – Milano
22.06.18 Biografilm Festival – Bologna
23.06.18 Fans Out – Nizza Monferrato (AT)
14.07.18 Baciami Festival – Livorno 
16.07.18 Rock In Roma opening Caparezza – Roma
22.07.18 Suoni di Marca – Treviso
27.07.18 Eco Sound Festival – Caprarola (VT)
28.07.18 Sud Est Indipendente – Lecce
14.08.18 Anguriarafara – Fara Vicentino (VC)
31.08.18 Beat Festival – Empoli
02.09.18 Home Festival – Treviso
09.09.18 Live Rock Festival – Siena

 

 

 

Lo Stato Sociale

Concertionline.com ha intervistato Lo Stato Sociale. La band ci ha parlato di “Facile”, il nuovo singolo, e delle prossime date del “Una vita in vacanza tour”.

“Facile” è il nuovo singolo de Lo Stato Sociale e sarà in rotazione radiofonica e sulle piattaforme di digital download da venerdì 25 maggio.  Il pezzo è già presente nell’album “Primati” in una versione in duetto con Luca Carboni, ma ora è in arrivo una nuova versione che vede Lo Stato Sociale in solitaria.

“Facile” anticipa una nuova tranche di concerti, 5 date in tutta la penisola tra i mesi di giugno e luglio. Lo Stato Sociale sarà in concerto al Carroponte di Milano l’8 giugno, allo Sherwood Festival di Padova il 4 luglio e al Flowers Festival di Collegno (TO) l’11 luglio. Le ultime due date saranno il 13 luglio al Rock in Roma (Ippodromo delle Capannelle) e il 14 luglio ad Eremo, Molfetta (Bari).

8 giugno – Carroponte – Milano
4 luglio – Sherwood Festival – Padova
11 luglio – Flowers Festival – Collegno (TO)
13 luglio – Rock in Roma – Ippodromo delle Capannelle
14 luglio – Eremo – Molfetta (BA)

I biglietti per i concerti sono disponibili in prevendita su TicketOne.

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Renzo Rubino

Concertionline.com ha intervistato Renzo Rubino in occasione del suo incontro con i fan alla Feltrinelli di Roma, lo scorso 13 febbraio, per la presentazione di “Il gelato dopo il mare” nella nuova edizione speciale Sanremo 2018 (Warner). Renzo ci ha parlato di “Custodire”, la canzone che ha presentato al Festival di Sanremo, della scelta di portare i suoi nonni sul palco, di ciò che questo Sanremo gli ha lasciato e che ricorderà per sempre.

Concluso l’Instore tour Renzo si sta ora preparando per le prime due date del suo tour 2018, a Roma e Milano. Ecco tutti i dettagli.

Le prime date del tour 2018 di Renzo Rubino:

21 maggio: Roma, Auditorium Parco della Musica (Sala Sinopoli)
24 maggio: Milano, Teatro Dal Verme

Ecco la video intervista.

L’intervista è sata realizzata da Mariadora Bolognese.
Editing video: Riccardo Di Paolo

 

Mirkoeilcane: cantautore, romano, classe 1986. Con “Stiamo tutti bene” ha fatto scorta di premi a Sanremo 2018 e con il suo ultimo album “Secondo me“, uscito il 9 febbraio, ha consegnato ai suoi fan un lavoro ricco di emozioni, ironia e di uno sguardo attento, sensibile e a volte divertito sulla vita romana e italiana.

Dal 4 maggio prenderà il via il suo tour: “Secondo Me – Un tour poco demoscopico” (del suo rapporto con la demoscopia abbiamo parlato anche durante l’intervista). Il cantautore romano salirà sui palchi dei principali club italiani. Ecco tutte le date del tour:

4 maggio – Santeria Social Club – Milano
5 maggio – Vinile – Bassano del Grappa (Vi)
10 maggio – Teatro Quirinetta – Roma
11 maggio – Magazzini Fermi – Aversa (Ce)
12 maggio – The Cage Theatre – Livorno
18 maggio – Hiroshima Mon Amour – Torino
25 maggio – Locomotiv Club – Bologna
26 maggio – Dejavu – Sant’Egidio alla Vibrata (Te)

Concertionline.com ha intervistato Mirkoeilcane in occasione della presentazione del suo album al Mondadori Bookstore di Roma Tuscolana.

L’intervista è sata realizzata da Mariadora Bolognese.
Editing video: Riccardo Di Paolo

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I Ministri con "Fidatevi" pongono l'accento sulle insicurezze e sul bisogno dei rapporti umani in una società sempre più "a misura di consumatore". Il 5 aprile partirà il loro nuovo tour dall'Estragon di Bologna, ne abbiamo parlato con il chitarrista e autore dei testi Federico Dragogna.

A tre anni di distanza dal precedente “Cultura Generale” i Ministri, trio milanese composto da Federico Dragogna (chitarra, cori, testi), Davide “Divi” Autelitano (basso, voce) e Michele Esposito (batteria), sono tornati sulle scene con un disco dal titolo ambizioso, “Fidatevi”.
In un momento storico in cui la fiducia è merce rarissima, farne il tratto distintivo di un intero disco può apparire come un’operazione rischiosa, ma in realtà i Ministri, più che “chiedere la fiducia” a scatola chiusa, decidono di raccontare la loro intimità, come forse mai prima, riuscendo ad intercettare anche le paure e le insicurezze di un’intera generazione, quella di 30/35enni, a cui la fiducia sta venendo meno, come buona parte dei propri punti di riferimento.
Ne ho parlato con Federico Dragogna, chitarrista e autore dei testi dei Ministri, che in questo momento si stanno preparando per l’inizio del tour (prima data 5 aprile all’Estragon di Bologna).

Ciao Fede, “Fidatevi” è forse il disco più personale dei Ministri, quello in cui si parla di più di interiorità, dei propri spettri interiori e delle proprie insicurezze
e che poi però si rivolge al di fuori, “agli altri”, da guardare per rubargli un po’ di certezze, come in “Tra le vite degli altri”…ti sembra una giusta descrizione?

“Ciao, sì ti direi che se uno scrive nella vita questi cambiamenti anche nella scrittura rappresentino il fatto che stai davvero continuando a scrivere davvero e che non sei diventato una cosa di genere: è bello invece che uno a 23 anni scriva in un certo modo perchè pensa certe cose e a 35 in un altro diverso, sarebbe preoccupante se a 23 anni uno vedesse già le cose come un trentacinquenne e poi magari a 35 anni volesse vederle e descriverle come un ventritreenne. Mi viene da dirti che erano personali anche prima le cose che scrivevo, ma c’era un po’ meno persona: la personalità veniva fuori più per differenza dal “fuori”, dagli altri, piuttosto che affermando qualcosa. Quando attacchi ciò che è altro da te lo fai per definire la tua identità, alla fine anche il web è basato su questo principio, spesso coinvolgendo anche persone che il 23 anni li hanno passati da un pezzo in questo schema. A volte si odia qualcosa solo per far capire agli altri chi si è, senza però sostenere qualcos’altro. Si combattono prima magari guerre “esteriori” per poi arrivare, come in questo disco, a combattere quelle interiori. Poi magari dal prossimo disco, il giorno in cui diventeremo compiutamente grandi, non avremo più il problema del mutamento, saremo qualcos’altro e non dovremo più combattere nessun tipo di guerra, nè esteriore nè interiore.”

Come si può definire oggi, nel 2018, il concetto di “Fiducia”, dato che sembriamo tutti, soprattutto la nostra generazione di trenta/trentacinquenni, avere sempre meno appigli a cui rivolgerci?

Io credo che a un certo punto quando hanno iniziato a crollare le ideologie la confusione tra bene e male sia stata accettata come un dato di fatto e i valori hanno iniziato ad essere affrontati in modo ironico, mentre i controvalori come il sesso e la cocaina e così via sono diventati qualcosa di cui cantare: non lo dico però in un senso moraleggiante, semplicemente nel momento in cui mancano delle sicurezze accade questo. Non è che i nostri genitori avessero garanzie maggiori, semplicemente alla nostra età avevano ideali a più lunga scadenza rispetto ai nostri, potevano permettersi progetti a lungo termine, era il mondo ideologico di prima. Secondo me però non è detto che fosse necessariamente meglio. Noi come band, fin da quando abbiamo iniziato, abbiamo affrontato questa precarietà in tutto, oserei dire che è molto nietzschiano avere sempre intorno il caos ed è anche una spinta vitale, sarebbe anacronistico lottare per tornare ad avere, per dire, la pensione come i nostri genitori o nonni. Lo trovo triste, però resta il fatto che perdere i valori, i motivi per cui stare insieme è pericoloso: se ci togliamo del tutto la nostra parte sociale diventiamo davvero una puntata di Black Mirror.

Anche i social portano poi all’individualismo esasperato che stiamo vivendo adesso: tutti noi abbiamo la nostra personale verità da condividere, no?

“Certo, i social secondo me sono un po’ un incidente di percorso: nascono come una cosa bella per tenersi in contatto solo che poi si è scoperto che se dai agli uomini la possibilità di scagliarsi contro gli altri senza incorrere in conseguenze, quelli ci provano e qualcuno ci rimane invischiato. Penso che il punto cardine di tutto comunque sia il bisogno di stare insieme, il punto è che cosa lo muove e cosa lo muoverà: se lo muove solo il fatto di trovarsi un posto per consumare certi servizi è troppo poco. Dopo un po’ ci romperemo le palle, infatti credo che parte dei cervelloni delle grandi aziende mondiali cerchino di darci ciò che ci serve a casa, da Amazon a Netflix.”

Infatti va quasi di moda non uscire più di casa…

“Sì, ma anche questa è più una conseguenza, cioè questi colossi arrivano e ti dicono “ehi cittadino, non hai più nessun vero motivo per uscire ed andare a beccare gli altri? Ok, stai a casa, tanto hai tutto.” Ormai vediamo anche le ragioni per cui vivere come un servizio, dobbiamo non accontentarci di questo.”

Questo è un disco molto generazionale, mi riferisco a canzoni come “Due desideri su tre” piuttosto che la stessa “Fidatevi”, te ne rendevi conto mentre lo scrivevi?

“Dentro questo disco ci sono storie di altre persone, per esempio “Fidatevi”: ci sono alcuni pezzi che sono scrittura più nel senso adolescenziale del termine, nel senso di un’autoanalisi, come “Spettri” o “Crateri”, che è proprio una liberazione. Mentre nei due pezzi che hai citato racconto storie di altri, è il mio punto di vista su un’altra persona. Quando diventi musicista o racconti di te e della tua vita o racconti quella di qualcuno che non è musicista, il mondo che ti interessa è quello diverso da te perchè scandito da ritmi e giornate diverse, quello dei miei amici, di mio fratello per esempio. In ogni caso la situazione generazionale ed economica non cambia, in linea di massima.
Ad esempio “Nella battaglia” nasce dalla situazione che si crea nella metro affollata alle 8,30 al mattino: in quel periodo stavo producendo un disco e per un dato periodo appunto prendevo la metro a quell’ora e mi ritrovavo con chi normalmente lo fa tutti i giorni tutto l’anno. Mentre io sapevo che la mia era una situazione temporanea e poi sarei tornato ad altri ritmi, mi sono immedesimato in chi invece lo fa quotidianamente, senza una “scadenza”. Mi ci sono messo tante volte in chi fa un lavoro più “normale”, con ritmi da ufficio, secondo me ha anche lati molto belli e, per testimonianza diretta, ti posso dire che tanti musicisti sono tentati di passare a quel tipo di vita, per una questione di sicurezze, di ritmi meno serrati, una maggiore routine. Non è detto che la vita tutta sregolata sia figa per forza, dipende da che carattera hai. Dall’altra parte invece delle volte non ti rendi conto che dovresti staccare quando ti sei messo in un lavoro di merda, che non ti soddisfa, ma è difficile farlo perchè perdere le sicurezze, anche economiche, è rischioso per tutti.”

All’interno dei Ministri, tra voi tre, quanto è importante la fiducia l’uno nell’altro? Penso sempre al fatto che Davide canta parole che non ha scritto lui in molti casi, questo è un grande segno di fiducia.

“Tra noi la fiducia è un qualcosa che ci tiene insieme in un senso molto forte, noi siamo amici fin da quando eravamo ragazzi, però al di là di questo i Ministri sono proprio come un equipaggio di una barca che sta facendo una mega traversata oceanica: ognuno ha il suo ruolo e fa quello che fa sicuro che gli altri faranno il loro per far viaggiare la barca al massimo. Lo scrivere e poi Divi che canta, anche se in questo disco ha scritto anche due pezzi (“Tra le vite degli altri” e “Dio da scegliere”), crea tra noi un rapporto particolare: è un discorso tra due amici ma che va ad un livello anche superiore alla normale amicizia, a volte abbiamo anche usato i pezzi per dirci delle cose tra noi, in questo disco meno, in altri dischi di più. Poi ormai questo ci sembra normale e scrivo canzoni che si prestano bene alla sua voce, mentre con la mia dovrebbero avere una metrica totalmente diversa, tra cui praticamente tutte quelle di questo disco. Ormai abbiamo una sinergia iperconsolidata.”

Il disco inizia con i versi “E’ una questione di gusti, che ci spinge in avanti”, come sono cambiati e come si sono evoluti i gusti musicali dei Ministri in questi dodici anni di carriera?
Aggiungo che la critica e il pubblico hanno detto che “Fidatevi” somiglia ai vostri esordi…io direi che non è così.

“Infatti non è assolutamente così, si legge tutto e il contrario di tutto: il problema della rete è anche che si cercano di consumare e giudicare le cose ipervelocemente. Non si può recensire un disco dopo un giorno che è uscito, con le canzoni ci devi vivere, ci devi passare delle esperienze, almeno con le nostre, non sono canzoni da sentire quando vai a fare la spesa. Non andrei a una festa dicendo “ehi adesso vi faccio sentire questa che spacca” e metto su “Crateri”.
Ci sono tante chitarre nel disco e semplicemente questo oggi fa strano.
Per quanto riguarda i miei gusti musicali, essendoci già troppe chitarre nella mia vita con i Ministri si sono rivolti verso cose dove di chitarre ce ne erano sempre meno, come produttore poi in realtà ho fatto tante cose diverse. Devo dire che molti degli arrangiamenti che ci sono in questo disco sono cose che abbiamo dentro da sempre e sono un nostro dna di partenza, che significano ancora tantissimo per me. I gusti sono in realtà dovuti a una sincerità che abbiamo con noi stessi: a noi piace fare questo nella vita, al di là della risposta che può avere.
Però la risposta a questa domanda può variare un sacco da persona a persona.”

Proprio riguardo al fare ciò che vi piace senza guardare a come siete percepiti: voi avete sempre affrontato un vostro percorso musicale che non ha mai guardato troppo a “cosa funziona”, tu lo hai affrontato in alcuni casi anche nelle vesti di produttore: a parte rari casi, ho l’impressione che la musica italiana di un certo circuito si stia sempre più omologando a certi standard, certi meccanismi ricorrenti. Secondo te perchè succede questo e pochi hanno il coraggio di uscire dagli schemi? E’ mancanza di talento o semplicemente è bello stare nella propria “comfort zone”?

“Io credo sia un normale fenomeno biologico della musica il fatto che siano funzionate delle cose con un certo sound e si sia creata una certa onda che adesso si sta cavalcando, quando poi si esaurirà ne verrà fuori un’altra diversa.
L’unica differenza rispetto a prima è che prima si divideva il mondo in mainstream ed indie, ora questo gioco è saltato perchè anche nel mainstream ci sono cose che sono venute dal nostro mondo, quindi è tutto un po’ più confuso.
Credo che il fatto che le cose grosse pop vengano dal mondo “indie” sia bello, vuol dire che siamo gli unici fornitori di entrambi i mondi, diciamo. Basta continuare ad alimentare entrambi questi mondi così da mantenere un certo grado di biodiversità e permettere all’ascoltatore di scegliere tra un po’ di tutto.
Poi credo sempre che chi ha talento verrà fuori, magari in ritardo perchè ha pochi mezzi ma chi vale prima o poi si nota.”

In tour porterete con voi Anthony Sasso come quarto “ministro”, come è nata la scelta di coinvolgerlo e come vi state preparando al tour, che tipo di set sarà?

“Volevamo rendere il disco come si deve e non volevamo usare sequenze, perchè siamo allergici diciamo, per cui abbiamo cercato una persona che facesse al caso nostro. Cerchiamo sempre di trovare degli artisti che ci aiutano, prima c’era Effe Punto, che adesso è in giro con cose sue, adesso avremo ancora con noi, come nello scorso tour, Marco Ulcigrai de Il Triangolo e in più si è aggiunto Anthony, che abbiamo conosciuto con gli Anthony Laszlo quando ci ha aperto un live: condividevamo con lui una serie di visioni e lo abbiamo quindi tirato in mezzo alla nostra grande famiglia. Per quanto riguarda il tour, lo stiamo provando in questi giorni: è un concerto bello denso, molto elettrico, molto potente e molto impegnativo. Raccoglie tante delle cose che ci siamo detti in questa intervista. La potenza di fuoco è molto grossa e certi pezzi hanno tutta l’ampiezza che necessitavano. Siamo molto contenti.”

Appuntamento dunque il 5 aprile per la prima data live del “Fidatevi Tour” all’Estragon di Bologna.

Queste tutte le date ad oggi in programma del “Fidatevi Tour” dei Ministri:

5 APRILE – BOLOGNA – ESTRAGON

6 APRILE – PADOVA – GRAN TEATRO GEOX

9 APRILE – MILANO – ALCATRAZ

12 APRILE – TRENTO – SANBA’POLIS

14 APRILE – ROMA – ATLANTICO LIVE

19 APRILE – VENARIA REALE (TO) – TEATRO DELLA CONCORDIA

20 APRILE – NONANTOLA (MO) – VOX CLUB

24 APRILE – FIRENZE – OBIHALL

27 APRILE – MOLFETTA (BA) – EREMO CLUB

28 APRILE – NAPOLI – CASA DELLA MUSICA

30 APRILE – PERUGIA – AFTERLIFE LIVE CLUB

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Sono diventati un fenomeno talmente virale da essere arrivati in cima alla Viral 50 dei brani indie italiani con il singolo "Bill Murray", tra un mese uscirà il primo disco "Machepretendi". Conosciamo meglio i palermitani I Giocattoli, nuova rivelazione dell'it-pop.

La quantità di band che, negli anni zerodieci, hanno iniziato dalla “cameretta” non si conta, tante sono anche quelle che in quella cameretta e sui social sono rimaste confinate, qualcuno invece si può dire che ce l’ha fatta o ce la sta facendo: sicuramente è questo il caso dei palermitani I Giocattoli (Duilio Scalici, Ernst Mormile, Chiara Di Trapani e Davide Casciolo): partiti come un duo (Duilio e Ernst) che faceva cover e le condivideva sui social sono poi diventati, una volta cominciato a scrivere pezzi loro, un vero e proprio fenomeno del web, arrivando addirittura in cima alla Viral 50 dei brani indie italiani con il loro primo singolo, “Bill Murray”, dopo altri exploit (“Il ragno” ha avuto oltre 30.000 visualizzazioni su youtube appena uscito) senza neppure avere un album fuori (il primo disco, “Machepretendi”, uscirà il 20 aprile per Giungla Dischi).

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro per capire come si passa dalla cameretta ai club in così poco tempo e quanto lavoro ci sia dietro.

Come si passa da fare cover per divertimento a essere primi nella viral 50 dei brani indie italiani?
In realtà ce lo chiediamo ancora anche noi. E’ stato un passo grande e veloce al tempo stesso. Non possiamo che esserne fieri e felici, senza smettere mai di divertirci.
Voi siete un fenomeno venuto alla ribalta in buona parte grazie ai social, come si riesce a farsi notare in un mondo musicale in cui oggi chiunque può fare musica nella propria stanza e condividerla?
Sicuramente le cose più importanti sono (oltre alle canzoni), le grafiche, i video, le foto ed una buona comunicazione. Bisogna trovare sempre le parole giuste, i colori giusti e cosi via. Sembra semplice ma non lo è affatto! E poi oltre tutto bisogna avere culo!
Per il primo disco avrete la produzione di Carota (Lo Stato Sociale) e Hyppo (Keaton), come è nata la collaborazione con loro e cosa pensate abbiano aggiunto al vostro sound?
Avevamo pronti i provini del disco e dovevamo scegliere un produttore artistico. Ci siamo rivolti a loro perché pensavamo fossero i più adatti per questo nostro primo lavoro (e non sbagliavamo!). Ci hanno risposto dopo poco tempo ed anche loro non vedevano l’ora di mettere mani sul sound del nostro disco. Hanno sicuramente aggiunto tutta la loro esperienza per migliorare il nostro modo di esprimerci suonando. E’ stata un esperienza super formativa!
Dal 2016 a questo primo disco come sono cresciuti i Giocattoli ed è cambiato qualcosa nel vostro approccio alla musica?
Sicuramente adesso siamo un po’ più coscienti di quel che “scriviamo”. Ma l’approccio è rimasto lo stesso. Ci divertiamo suonando ma adesso “sudiamo” un po’ di più!
Doveste descrivere “machepretendi” con tre aggettivi quali sarebbero?
Romantico, sognante, nostalgico.
Uno degli aspetti centrali del vostro progetto è anche l’aspetto dei video, che hanno trainato i singoli: cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?
Vorremmo migliorare ancora di più questo aspetto. Creando forse dei veri e proprio cortometraggi con le nostre canzoni. Ma ancora è presto per parlarne!
Infine vi chiedo un aneddoto da tour e se avete già programmato qualche live o evento per l’uscita di “Machepretendi”.
Si trovate tutte le prime tappe del tour sulle nostre pagine social! (facebook.com/igiocattolimusica/)
Partiremo il 20 aprile dal Land of Freedom di Legnano (MI).

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Sabato 3 e domenica 4 marzo saranno in Italia per due date gli Slowdive, band capostipite dello shoegaze. Il loro bassista Nick Chaplin ci ha raccontato come è stato rimettere insieme la band e cosa li porta di nuovo nel nostro Paese.

Stanno per arrivare in Italia per due date, sabato 3 marzo al Locomotiv Club di Bologna (già sold out) e domenica 4 marzo all’ Alcatraz di Milano, gli Slowdive, iconica band shoegaze che, dopo lo scioglimento datato 1995, è tornata insieme nel 2014 e ha dato alle stampe nel 2017, a 22 anni di distanza dal precedente “Pygmalion”, un nuovo album di inediti intitolato semplicemente “Slowdive”.

Paradossalmente la band di Reading sta vivendo adesso un momento di celebrità anche maggiore rispetto a quanto non capitasse loro negli anni ’90: da band per cultori sono stati riscoperti e il loro zoccolo duro di fan si è ampliato fino alle nuove generazioni, ragazzi che nel 1995 avevano qualche anno appena o che forse non erano neppure nati.

Ho avuto l’opportunità di fare quattro chiacchiere con Nick Chaplin, il bassista della band, che mi ha raccontato del loro ritorno sulle scene e del loro imminente arrivo in Italia.

Nick, sono quattro anni ormai che gli Slowdive sono ufficialmente tornati: come sta andando la seconda vita della band?

Sta andando davvero molto bene, stiamo suonando in un sacco di Paesi dove non eravamo mai stati prima, il nuovo disco suona molto bene, ci piace eseguirlo dal vivo, è tutto grandioso.

Anche se il “progetto” Slowdive si era fermato nel 1995, alcuni di voi avevano continuato a fare musica insieme in altri progetti, pensavate di aver detto tutto come Slowdive in quel momento? Cosa vi ha portato a rimettere insieme la band?

Si, Rachel e Neil, insieme a Ian (McCutcheon, anche lui membro degli Slowdive per il disco “Pygmalion” ndr) continuarono nei Mojave 3, io invece non ho suonato in altre band, ma abbiamo continuato a tenerci in contatto con Rachel e con Simon (Scott, batterista degli Slowdive ndr), siamo rimasti amici anche se non ci vedevamo molto spesso, magari però andavamo a dei concerti insieme a Londra o cose così.

Molti anni dopo abbiamo iniziato a parlare tra noi della possibilità di fare un nuovo disco come Slowdive, di tornare insieme come band ed è arrivata l’offerta di suonare al Primavera Sound Festival nel 2014, avevamo tutti dei figli e il Primavera è una grande festa, ci è sembrata una grande occasione per tornare e far divertire anche le nostre famiglie a Barcellona. Saremo sempre grati al Primavera per averci dato quell’occasione da cui poi è ripartito tutto, tanto che quest’anno torneremo nuovamente a suonarci.

Come musicisti e come persone quanto siete cresciuti in questi 22 anni tra “Pygmalion” e il nuovo album?

Musicalmente, come ti dicevo prima, per me è stato un po’ diverso che per gli altri perchè io non ho continuato a suonare in nessuna band, fino al 2014 quando la band si è riunita, al contrario di tutti gli altri.

Adesso credo che siamo tutti migliorati come musicisti: siamo più maturi, abbiamo più confidenza con il palco e con la nostra musica. Come persone tutti noi abbiamo figli, abbiamo delle famiglie, suonare, essere in una band, non è più la cosa più importante per noi, ci sono altre cose che fanno la differenza. Però le nostre personalità sono sempre le stesse: siamo gli stessi ragazzi di 20 anni fa, in fondo e suonare è stato un po’ come tornare a giocare e divertirsi come se avessimo ancora 20 anni, con una maturità nuova.

Insomma gli Slowdive sono una pausa dalle responsabilità e dalla vita da adulti…

Sì, esattamente, andare in tour adesso è molto più facile che negli anni ’90, meno stancante, è molto più bello per noi: è bello fare felici le persone che vogliono sentire la nostra musica. Per noi è una fuga dalla vita da adulti, hai ragione. E ci piace un sacco.

Ho letto tra l’altro che vivete tutti distanti tra voi e quindi dovete essere molto organizzati per andare in tour.

Sì, dobbiamo essere molto organizzati: ci divertiamo sul palco, ma io e Chris (Savill, chitarrista degli Slowdive) ad esempio avevamo dei normali lavori da ufficio e quando la band è tornata insieme abbiamo dovuto decidere se era il caso di lasciarli, abbiamo delle famiglie, quindi non era una decisione facile, per cui suonare in una band non è più come a 20 anni, ci divertiamo, ma questo implica anche organizzazione e una certa serietà nell’affrontare un tour. Fare musica è una carriera per noi e siamo sicuri sia meglio di qualsiasi altra cosa, è giusto che sia presa con serietà.

In questo momento storico tutta la scena shoegaze sta avendo una nuova vita e, per certi aspetti, più successo rispetto a quanto avesse negli anni ’90. A cosa pensi sia dovuto?

Io credo che la musica sia circolare, le persone si annoiano ad ascoltare sempre le solite cose e tornano a riscoprire cose del passato, il rock che passa in tv o in radio è sempre lo stesso ma adesso grazie a internet, grazie a youtube, a spotify, puoi anche andare a cercare qualcos’altro come ad esempio lo shoegaze.

Non so come andavano le cose in Italia, ma in Inghilterra lo shoegaze fu popolare per pochissimo tempo e poi divenne spazzatura e tutta la critica scriveva cose terribili su ogni band che faceva shoegaze: all’epoca questo pesava molto e decretò la fine dello shoegaze, ma adesso non è più possibile perchè tu puoi andare su spotify o su youtube e ascoltare quello che vuoi senza farti influenzare da nessuno, decidendo cosa ti piace e cosa no. In più se ascolti noi su spotify o youtube vieni rimandato ad ascoltare band come i My Bloody Valentine o viceversa e puoi decidere da solo se ti piacciono o no, in questo la tecnologia ci ha molto aiutato.

Hai anticipato in parte la mia prossima domanda, proprio perchè volevo chiederti del fatto che voi come band avete vissuto la musica sia nella fase pre-internet sia adesso, dove internet e la tecnologia dominano su tutto. Come musicista cosa è cambiato per te e non pensi che il fatto di poter accedere a qualsiasi musica tu voglia in un secondo abbia diminuito la capacità del pubblico di scegliere cosa è bello e cosa no e la qualità stessa della musica in circolazione?

Si, penso che tu abbia centrato il punto: per le persone è molto difficile scegliere quale musica ascoltare, sono bombardate di musica ovunque, ogni band può fare il suo disco in cameretta con un computer e metterlo su youtube il giorno dopo.

E diventare anche una star, il giorno dopo…

Sì esattamente, la cosa positiva è il non aver più bisogno di un’etichetta discografica, di non aver bisogno delle recensioni della stampa. La cosa negativa è che, vista la tanta musica che esce ogni giorno, farsi notare diventa molto più difficile e ci sono band che pagano addirittura cifre folli per avere il proprio momento di celebrità. Però credo ancora che ci siano più lati positivi che negativi nell’avvento dei social e della tecnologia: ad esempio noi se nel 1995 volevamo annunciare un tour dovevamo avere un’etichetta alle spalle, la stampa che parlasse di noi, era molto più difficile raggiungere le persone. Oggi basta un tweet o scriverlo sulla pagina facebook e lo sanno tutti.

Cosa ne pensi del fatto che la vostra musica è capace ancora oggi di attrarre non solo i vostri vecchi fan ma una nuova generazione di fan, ragazzi che magari nel 1995 erano bambini o non erano addirittura ancora nati?

Penso che sia grandioso, siamo felicissimi di questo, ai concerti troviamo sia persone che ci seguivano all’epoca e che vengono ai live con le vecchie t-shirt e magari portano i loro figli, sia ragazzi che ci conoscono grazie solamente al nuovo disco. Per noi tutto ciò è grandioso: in alcuni Paesi trovi un pubblico più “anziano”, come ci è successo adesso in Germania, in altri un pubblico più giovane, come negli Stati Uniti. Sono curioso di vedere cosa capiterà in Italia.

Che rapporto avete con l’Italia? Avete suonato a Milano circa 6 mesi fa, adesso suonerete anche a Bologna… c’è qualcosa del nostro Paese che amate particolarmente?

Penso che tutti amino l’Italia, tra l’altro io ho un po’ di Italia nella mia storia personale, mia madre arrivò in Scozia da…sto cercando di ricordare dove, dalla zona di Torino mi pare, il suo cognome è Rebello. Penso che comunque tutti in generale amino l’Italia come dicevo, il cibo, il tempo, i paesaggi: anche se ora so che c’è un tempo orribile, i vostri paesaggi innevati sono bellissimi.

Inoltre negli anni ’90 non abbiamo mai suonato in Italia, per cui quando siamo tornati nel 2014 volevamo per forza suonare da voi e siamo felici di esserci riusciti.

Ultima cosa che ti chiedo: il 7 luglio suonerete al maxi-evento per i 40 anni di carriera dei Cure, quindi ti chiedo se sono una delle vostre band preferite e delle band che vi ha ispirato quando avete iniziato. Inoltre l’anno prossimo saranno anche 30 anni di Slowdive, ci possiamo aspettare qualcosa di speciale?

Wow, è vero. Penso che nessuno di noi quando abbiamo iniziato avrebbe pensato che nel 2018 o 2019 avremmo fatto ancora musica o tour, da quando ci siamo rimessi insieme nel 2014 ci stiamo semplicemente godendo il momento, senza fare progetti così a lunga scadenza, per cui non so dirti se ci sarà qualcosa di speciale tra un anno. Ci penseremo. Per quanto riguarda i Cure, quando eravamo ragazzi eravamo tutti loro fan, tutti abbiamo suonato almeno un loro pezzo, credo siano una delle band che ha più influenzato la nostra generazione, per cui quando ci hanno chiamato per questo show ci siamo subito detti che dovevamo esserci.

(Intervista e traduzione a cura di Alessio Gallorini)