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Vivo Concerti

Salmo, 15 dicembre 2016, ph Elena di Vincenzo

Salmo, 15 dicembre 2016, ph Elena di Vincenzo
Salmo, 15 dicembre 2016, ph Elena di Vincenzo

Il rapper e producer di origini sarde Maurizio Pisciottu, in arte Salmo, è diventato in pochi anni una delle figure più importanti ed eclettiche della scena italiana e il tour del suo quarto album pubblicato a febbraio 2016 “Hellvisback” è stata la riconferma del suo successo. Ancora alla fine di questo lungo tour la doppia data – 15 e 16 dicembre- al Fabrique di Milano, città di adozione, è sold out.

Il locale è enorme e pieno, il pubblico è per la maggior parte molto giovane, ma non mancano fan di tutte le età e tutti tipi: Salmo non è mainstream, è tutt’altro che commerciale, è sfacciato, crudo e blasfemo, eppure piace anche le signore (mamme?); è della “nuova scuola” ma piace anche e soprattutto a chi la nuova scena rap italiana fa storcere la bocca, e un motivo ci sarà.
Salmo è come la Madonna, se ci credi compare“. Atteso e chiamato a lungo, arriva finalmente in scena innalzando nettamente il livello della serata, che fino a quel momento era stata intrattenuta un po’ a fatica da altri giovani rappers.
Provocatore ed energico, porta sul palco non solo l’aria di casa nostrana che noi conosciamo bene, con canzoni come S.A.L.M.O. , Old Boy e Russell Crowe, dall’album Midnite del 2013, ma anche tutto l’immaginario a cui si è ispirato per il nuovo album: le lande desolate del Nordamerica, le losche gang da bar western e i tempi in cui germogliavano le basi della musica che tutti noi amiamo, il rock.
I riferimenti sono espliciti, le influenze ben chiare, ma quando queste si incontrano e si scontrano con il mondo musicale dell’artista, legato più all’hardcore, all’elettronica e alla drum&bass, diventano un’unica miscela incandescente che infuoca il palco e gli animi del pubblico: l’entrata in scena con le prime tre tracce che coincidono con quelle dell’album tagliano a fette l’atmosfera e a Daytona già si poga con foga sotto il palco, il pubblico impazza e accoglie con clamore e affetto i pezzi degli album precedenti.
Mentre canta si dimena con atteggiamento da spaccone, il nostro rapper; ma non appena si rivolge al suo pubblico per dare consigli si dimostra un giovane umile e anche molto premuroso: ad esempio, dopo l’ormai tradizionale wall of death in Hellvisback chiede ai ragazzi se ci sono feriti e distribuisce bottigliette d’acqua. “Salmo uno di noi“, “Rovazzi figlio di p*****a” grida la folla, che vuole ribadire il proprio appoggio all’unico artista che ai giorni d’oggi ha ancora lo sbattimento di andare controcorrente e di dire in faccia ai diretti interessati che certa musica fa c****e. Non mancano gli ospiti, che entrano in scena per le rispettive canzoni, e i selfie di fine concerto.
Insomma al ragazzo classe 1984 non si può chiedere di più, e forse un po’ anche per questo che nell’aria si respira la paura di trovarsi di fronte l’ennesimo canto del cigno. Naturalmente noi siamo qui a scongiurarlo.

 


 

SETLIST:
Mic Taser
Giuda
Io sono qui
Daytona
Russell Crowe
Old Boy
Bentley vs Cadillac
Il messia
ft. Victor Kwality
7 am
L’alba
Buon Natale
Venice Beach

Killer Game
Hellvisback
S.A.L.M.O.

ENCORE:
Don Medellin ft. Rose Villain
Title? ft. Axos e Nitro
1984
La festa è finita
Black Widow

La superluna del 14 Novembre ha illuminato magicamente la serata del ritorno in concerto dei White Lies  in Italia,  questa volta sul magnifico palco del Fabrique a Milano, e per chi non è stato presente raccontiamo a qualche giorno di distanza il Live report dell’evento .

Intanto cominciamo a dire che la band a supporto, The Ramona Flowers, ha aperto la serata con un ottima performance creando la giusta atmosfera per l’entrata in scena del terzetto di Londra quei White Lies che esordirono balzando al numero 1 delle calassifiche UK con il loro disco d’esordio To Loose my Life, che fece  il botto rendendoli da subito una delle band più promettenti e sorprendenti.

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La band si presenta come di consueto sul palco con l’aggiunta di un quarto elemento alle tastiere, con Harry McVeigh chitarra e voce solista, Charles Cave al basso e cori, nonchè autore anche di molti testi, e Jack Lawrence-Brown alla batteria,  mostrando sin da subito una grande capacità stilistica e tecnica in grado di catalizzare l’attenzione del pubblico già con il primo pezzo, Take It out on  me, nuovissimo singolo tratto dal recente lavoro Friends .

Non a caso la scaletta fa incetta di brani tratti dal sopracitato primo disco, ma consente anche di ripercorrere la loro giovane carriera, contenuta in 4 album prodotti in meno di 10 anni di attività; dopo There Goes our Love arriva subito il capolavoro To Loose my life che sintetizza alla perfezione l’anima musicale dei White Lies, fatta di moderne sonorità racchiuse in uno scrigno d’epoca eighties che illustri predecessori hanno disegnato per loro.

Come non pensare a Ian Mc Culloch, leader e cantante degli storici Echo & The Bunnymen, quando ascoltiamo Harry cantare Hold Back your love o Morning in LA o come non ritornare alle atmosfere sognanti dei Cure quando i White Lies intonano il loro primo singolo, Unfinished Business .

Il Basso di Charles, preciso e sicuro, e la batteria di Jack pulsano all’unisono in molti pezzi mentre la chitarra di Harry si destreggia senza mai andare oltre una certa soglia, come vuole il classico stile new wave, mentre le tastiere forniscono il lato sintetico che abbiamo da sempre apprezzato nei dischi dei White Lies.

Gemme oscure musicali brillano nella serata e così ascoltiamo Price of Love e Farewell to the Faiground  passando poi alle sfaccettature più solari di Getting Even e Don’t Want To Feel It All per raggiungere con Death l’ora quasi esatta di performance.

Aspettiamo qualche minuto per tre encore di grande effetto quali Big TV e Come on e per chiudere una stupenda Bigger Than Us.

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Non si placa lo scandalo che ha travolto alcune società organizzatrici di concerti dopo il servizio de Le Iene (noi ve ne avevamo già parlato qui). Martedì scorso la trasmissione tv ha mandato in onda un nuovo servizio dedicato all’argomento, in cui emerge che a stringere accordi con le società di secondary ticketing (bagarinaggio online) non sarebbe solo Live Nation ma anche Vivo Concerti (almeno sino a quando è stata gestita da Corrado Rizzotto, poi passato a Indipendente Concerti). Qui il link al servizio integrale: http://mdst.it/03v664364/

In seguito alla messa in onda di questo nuovo capitolo sono scattate le perquisizioni negli uffici milanesi di Live Nation e Vivo Concerti da parte della Guardia di Finanza. Tre le persone indagate: Roberto De Luca, amministratore delegato di Live Nation, Corrado Rizzotto, ex numero uno di Vivo Concerti e ora amministratore di Indipendente Concerti, e Antonella Lodi. E in questo nome sta il potenziale colpo di scena.

In queste ore molti quotidiani hanno riportato che potrebbe essere proprio lei la persona con il volto coperto che ha dato il via all’inchiesta de Le Iene. Antonella Lodi però è Direttore Generale di Live Nation, e se l’ipotesi che sta circolando in rete venisse confermata significherebbe che Live Nation è stata tradita non solo dall’interno, ma da un suo alto dirigente. Dagli uffici di Via Pietrasanta (sede milanese di Live Nation) liquidano l’ipotesi però come “Pura fantascienza”.

Va chiarito, però, che l’attività di investigazione ha lo scopo di porre sotto sequestro le originali fatture incriminate (quelle documentate da Le Iene). Inoltre la truffa ipotizzata dal Pubblico Ministero si configura ai danni di TicketOne, e non degli acquirenti finali del biglietto venduto a prezzo maggiorato. Questo significa che il reato diventa procedibile solo in seguito a una querela della parte lesa. TicketOne, però, non ha ancora presentato querela.
I filoni d’indagine attualmente in corso inoltre sono due: quello legato al rapporto diretto esistente tra organizzatori di concerti e siti di secondary ticketing e quello che fa riferimento all’esistenza di software che hanno lo scopo di aggirare i limiti all’acquisto di biglietti, generalmente di 4 per ogni utente, appoggiandosi su profili falsi.

Intanto Claudio Trotta, da tempo impegnato in una battaglia contro questo tipo di speculazioni, ha pubblicato una lunga lettera in cui annuncia che Barley Arts lascia Assomusica. Questo il contenuto della lettera:

Cari Associati
Ho assistito, come probabilmente molti di voi, alla trasmissione di ieri sera de Le Iene, che ha mostrato la terza puntata dell’indagine sul tema del Secondary ticketing. Alla luce di quanto nuovamente emerso è palesemente stridente la posizione e l’atteggiamento che la nostra dirigenza ha assunto, e messo in atto nel corso dell’intero anno corrente.
Ho per fortuna assistito alle nette prese di posizione di Clemente Zard e di Ferdinando Salzano, e all’adesione formale di Alex Fabbro alla mia azione legale contro Live Nation per danni di immagine e concorrenza sleale. Grazie a ciò mi sono fortunatamente sentito un po’ meno solo; tuttavia voglio brevemente riassumere quanto successo per non lasciare nulla di incompreso circa la decisione che ho maturato e che qui vi comunico.
Ricordo a tutti voi che ho cominciato a denunciare questo cancro da moltissimi anni; a livello internazionale e nazionale, a livello mediatico e istituzionale, durante incontri pubblici e in occasione di assemblee, direttivi e riunioni associative.
Quanto scritto a proposito della mia presa di posizione è largamente presente sul web, all’interno di documenti ufficiali (pubblicati anche sui miei social network, privati ed aziendali), e all’interno dei report redatti al termine delle riunione di “Assomusica” e di “International Live Music Conference”.
Più in particolare vi riassumo quanto successo quest’anno: nel mese di Gennaio, in occasione di un incontro svoltosi presso l’AGIS di Milano, alla quale hanno partecipato tutti i principali produttori nazionali, ho chiesto di prendere una posizione comune contro tale fenomeno, ottenendo solo adesione informale da parte di Orazio Caratozzolo per conto di F&P Group e da David Zard.
La maggioranza dei partecipanti non si è espressa in merito, e due importanti produttori nazionali hanno dichiarato l’adesione al modello Secondary ticketing; uno dei quali ha poi curiosamente firmato l’appello contro il Secondary Ticketing promosso dalla Siae.
In quell’occasione ho lealmente informato tutti i presenti che non mi sarei fermato e che avrei continuato anche da solo questa battaglia etica, affermando che fare impresa non può e non deve significare per tutti fare speculazione.
Nei mesi seguenti ho chiesto due volte al Consiglio Direttivo dell’associazione di prendere una posizione sul tema, e lo stesso ha deciso di non prendere in tutte e due le occasionialcuna posizione come documentato dai verbali.
Il 4 aprile ho presentato un esposto penale alla Procura della Repubblica di Milano. Ho sollecitato più volte pubblicamente, con email e scritti di varia natura, gli associati, i produttori nazionali, i cantanti ed i gruppi musicali, le associazioni dei consumatori e più in generale l’intera filiera della musica dal vivo, di aderire a questa battaglia.
Fino alla messa in vendita dei Coldplay e al secondo servizio de Le Iene non mi pare che nulla di concreto sia cambiato nell’interesse collettivo, salvo il crescente malumore (e sto usando un eufemismo) dei nostri consumatori.
Il resto è di vostra conoscenza, inclusa la mia lettera aperta a tutti gli associati e ad Assomusica che qui vi allego nuovamente.
Non mi pare che la dirigenza abbia adeguatamente, e nei tempi necessari, preso le distanze, da quanto riassunto sopra, e, come avevo già accennato in precedenza, non riesco a restare un minuto in più in quest’Associazione, che non sento più appartenermi e rappresentarmi adeguatamente.
Con effetto immediato mi dimetto dolorosamente da Associato di un Associazione che ho fieramente contribuito a costituire nel lontano 1996, soprattutto per la propria e collettiva dignità personale che in questo momento sento duramente svilita e colpita.
cordiali saluti,
Claudio Trotta

Intanto, Live Nation ha diramato un comunicato in cui assicura la piena collaborazione con le forze dell’ordine:

n merito alla presenza oggi del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano presso gli uffici di Live Nation Italia, la società intende comunicare quanto segue:

Live Nation è sicura della correttezza del proprio operato e ha mostrato la massima collaborazione e trasparenza nei confronti degli organi competenti. La società esprime la propria totale fiducia nella Magistratura e la massima solidarietà nei confronti dell’Amministratore Delegato della sede italiana, che darà tutti gli approfondimenti del caso presso le sedi preposte, non appena sarà chiamato in causa.

Live Nation si astiene per il momento da ulteriori commenti sulla vicenda.

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Dal cuore pulsante di Londra arrivano i White Lies per due imperdibili date che li vedranno a Roma il 13 Novembre all’Orion Live Club di Ciampino mentre il 14 lunedì saranno protagonisti sul palco del Fabrique a Milano supporati dai The Ramona Flowers con l’organizzazione di Vivo Concerti .

Giovane e promettente band i White Lies  hanno prodotto già 4 Dischi in carriera tra cui il freschissimo “Friends” ; tutto ciò costituisce una valida argomentazione per assistere alla loro performance live che crediamo possa essere di grande interesse sia per i fan ma anche per tutti gli amanti della musica indie della nuova ondata british.

 

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Il comunicato che annuncia il concerto di Lisa Hannigan promette uno show speciale e intimo.
Nella sala del Fabrique sono state messe, su richiesta della stessa cantautrice, file di poltrone, per creare un ambiente più ordinato e meno dispersivo. Chi è qui conosce chi sta per salire sul palco ed è già nel mood.
Lisa presenta il suo terzo lavoro, At Swim, prodotto da Aaron Dessner dei The National. Un disco che è l’ennesima prova riuscita del suo percorso musicale solista, iniziato dopo la fine della simbiosi di vita che per anni l’ha legata a Damien Rice, l’uomo che sembrava essere, anche artisticamente, la sua anima gemella.

A portare silenzio e raccoglimento ci pensa prima di lei Heather Woods Broderick (sorella del polistrumentista Peter) che si esibisce da sola in una manciata di suoi brani prima alla chitarra elettrica poi alla tastiera. Minimale, rigorosa e discreta, saluta dicendo che tornerà sul palco per suonare con la band.
Ed ecco arrivare la protagonista, assieme ai suoi tre compagni (batteria, contrabbaso, tastiere): l’impianto è in realtà jazzistico anche se le definizioni  vogliono la Hannigan cantautrice folk. A voler ben vedere avrebbe potuto infatti esibirsi senza problemi al Blue Note, anche e soprattutto per la qualità tecnica che lei e i suoi musicisti garantiscono in scena.
Dopo Little Bird in solo, la scaletta prevede un’alternarsi di pezzi dai tre lavori che potrebbero benissimo sembrare lo stesso, per valore e coerenza. Pistachio, O Sleep, Prayer for The Dying, in un crescendo di grazia che ipnotizza il pubblico.

Lisa è incantevole e talmente gentile che ad ogni cambio di strumento (alterna chitarra e mandolino e ukulele) ringrazia il ragazzo dello staff che glielo porta. Dopo aver cantato il nuovo singolo, spiega che per girare il video ha dovuto imparare a cantare la canzone al contrario e ne fa sentire uno spezzone al pubblico. I sorrisi sono accennati, la voce leggerissima, quando parla le mani fluttuano come fossero ali di farfalla. E i presenti di fronte a una donna capace di diventare musa si innamorano, proprio come fece Damien, ora è più chiaro il perché.
La seconda parte del set è, se possibile, ancora più intensa, da Flowers in poi, con le incursioni elettriche di Heather Broderick, perfetta anche come seconda voce (Undertow a due è una perla), e il contrabbasso che diventa un basso. C’è spazio anche per la radiofonica What’ll I do, per la gioia degli spettatori che dopo tanto silenzio possono canticchiare e battere le mani. Lisa ringrazia, dice che passare dall’Italia è sempre delizioso (anche per il cibo), la sala ricambia: deliziosa è lei.

Dopo l’uscita tornano in scena in tre per regalare il coro di Anahorish e adesso davvero non resta che voce nuda a riempire l’atmosfera. A Sail chiude un concerto impeccabile, pulito e delicato.
Da cantautrice, Lisa si era dichiarata persa dopo un periodo un po’ buio e non troppo ispirato, e invece stasera ha dato al suo pubblico la conferma di essersi perfettamente ritrovata.


 

SETLIST

Little Bird
Ora
Pistachio
O Sleep
A Prayer For The Dying
Fall
Snow
Tender
Passanger
Flowers
We The Drowned
Lille
Undertow
Knots
What’ll I Do

Anahorish
Lo
A Sail

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ph Francesco Prandoni, I-Days Festival 2016, Day3
ph Francesco Prandoni, I-Days Festival 2016, Day3
ph Francesco Prandoni, I-Days Festival 2016, Day3

Eccoci giunti al terzo ed ultimo appuntamento dell’I-Days Festival 2016.
E’ un’aria sospettosamente silenziosa quella che circola: è una di quelle domeniche afose, tra poche ore sarà disputata una finale di Europei e i bus che passano di rado (un probabile sciopero) provocano non pochi disagi ai ragazzi che si stanno recando al Parco di Monza.
Il risultato immediatamente visibile è che questa sera, a godere dei prossimi straordinari spettacoli, sarà un cospicuo numero di persone, messo a confronto con quello delle precedenti serate.
Pochi sì, ma buoni.
Il pubblico di questa sera è quello che avrebbe fatto di tutto per essere presente, è quello che è arrivato correndo ai cancelli, con la maglietta del proprio gruppo preferito addosso e che si catapulta abbracciato agli amici sotto il palco, cantando a squarciagola ogni singola parola di tutte le canzoni.
No, non sto scherzando quando dico che i Biffy Clyro, dal mainstage questa sera, hanno reso felice ogni singola persona presente sul prato, e loro stessi per primi. Propongono una scaletta che è una bomba, che non lascia fiato, a cominciare da Wolfes of Winter, estratta dall’ultimo recentissimo album Ellipsis, per proseguire con i grandi successi di Puzzle, come Living Is A Problem Because e la memorabile 9/15ths, ma soprattutto di Only Revolutions, cantate in coro col pubblico, e di Opposites, i cui singoli, tutti presenti in scaletta, diedero 3 anni fa il successo mondiale a questo incredibile trio dalla straordinaria efficacia live. Oltre all’euforia, la carica, la gioia e la forza distruttiva, non mancano momenti di suggestiva intimità, come nella God & Satan acustica di Simon Neil, lasciato per un attimo solo sul palco. Insomma alla fine del concerto, concluso con Stingin’ Belle, non si capisce bene chi sia più fisicamente provato e senza voce tra il pubblico o il gruppo. E’ una bella sensazione quella che ci lasciano questi giovani scozzesi, che promettono gioiosi di tornare ad ottobre in Italia.
Anche se, bisogna ammetterlo, la maggior parte delle persone stasera erano qui solo per i Biffy Clyro, non si può dire che ai Suede, secondo gruppo co-headliner, sia mancata la propria schiera di fan. Infatti dopo un (alquanto brusco) cambio di pubblico, quella che si è venuta a creare questa notte tra le poche centinaia di persone raccolte sotto il palco e il leader della storica band britpop Brett Anderson è un contatto più che intimo, più che umano. Perchè se da una parte i numerosi inconvenienti tecnici hanno penalizzato la performance, minando alla pazienza dei musicisti sul palco (primo tra tutti Anderson che ha dovuto lanciare più volte il microfono lontano da sé), dall’altra parte questo stesso frontman ha saputo volgere la situazione a suo favore ma soprattutto a favore dei suoi fan. A cominciare da un breve colloquio faccia a faccia con uno dei fan in prima fila, al quale cede il microfono perché forse “ha qualcosa da dire” (questo mito poi ha il coraggio di cantare anche se stonatissimo) Anderson cerca di colmare sempre di più la distanza fisica (la sola) che lo separa dalla platea: se con Film Star è in ginocchio sul ciglio del palco, a She’s In Fashion scende dall’impalcatura e all’inizio di For The Strangers è lì sulle transenne che stringe le mani ai suoi fan.
Inoltre molte sono state le canzoni che, sempre per problemi tecnici, sono state arrangiate da chitarra acustica o piano, ma questo non ha fatto altro che donare alla performance un carattere più intimo e raccolto, sofisticato e di alta bravura tecnica. Oltre ai successi già citati, non sono mancate le storiche Beautiful Ones e New Generation, che ha chiuso lo show. Come si suol dire: non tutti i mali vengono per nuocere, e i pochi fortunati fan questa notte lo sanno bene.
Si è concluso così questo festival dal carattere tanto mutevole quanto ricco di nuove scoperte. Molto probabilmente qualcuno avrà trovato ingiusto o controproducente affiancare due band così diverse e stilisticamente lontane, come è successo anche nelle serate precedenti, ma parliamoci chiaro: a chi piace la musica e a chi piace condividerla, scoprire mondi musicali (apparentemente) lontani dal proprio gusto non può che essere un bene, specialmente se si tratta di un tale valore aggiunto!

SETLIST BIFFY CLYRO:
Wolves of Winter
Living Is A Problem Because
Everything Dies
Biblical
Friend And Enemies
Born On A Horse
Victory Over The Sun
Bubbles
Black Chandelier
In The Name Of The Wee Man
God & Satan
The Captain
Mountains
9/15ths
Animal Style
Sounds Like Balloons
Many Of Horror
Stingin’ Belle

SETLIST SUEDE:
When You Are Young
Outsiders
Trash
Animal Nitrate
We Are the Pigs
By The Sea
Killing of a Flashboy
Filmstar
Heroine
The Wild Ones
She’s in Fashion
For the Strangers
So Young
Metal Mickey
Beautiful Ones
The 2 of Us
New Generation

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Secondo appuntamento dell’I-Days Festival 2016 a Monza: cambiano gli artisti, cambia il pubblico, cambia l’atmosfera. Questa sera, al contrario della precedente, il pubblico è arrivato numeroso fin dalle tarde ore del pomeriggio, ha usufruito in maniera più spontanea e naturale degli spazi verdi che l’evento metteva a disposizione: famiglie con bambini e giovani ragazzi, in compagnia di amici o genitori, immersi in un clima di totale relax e godimento della musica circostante: Shura, Honne, Stereophonics, Låpsley…sono solo alcuni dei numerosi artisti presenti.
Ma il momento più atteso arriva con il calare della notte e lo scorgere delle stelle: dopo 3 anni tornano attesissimi i Sigur Rós live in Italia, con la nuova formazione, orfana del talentuoso polistrumentista Kjartan Sveinsson.
Su un palco allestito di leggere strutture geometriche simmetriche e prospettiche, nascosti da un sipario elettronico, il trio offre come pezzo d’apertura la loro ultima canzone Óveður.
L’infinita folla ai piedi del palco ascolta in religioso silenzio, in piedi, come soldatini, catturati dai suoni alieni che provengono dal palco. Un’ovazione generale quando all’inizio del terzo pezzo, l’acclamata Sæglópur, si alza finalmente l’oscuro sipario, mostrando i tre beniamini ai suoi fan.
Mi chiedo se il modo giusto di usufruire di tale spettacolo sia questo: un contrasto tra la seducente estraneazione, provocata dall’invisibile magia della musica e dalla voce di Jón proveniente da mondi a noi sconosciuti, e l’affliggente realtà di trovarsi immersi a migliaia di persone che possono soltanto immaginare di trovarsi in una situazione gradevole in cui usufruire di tale musica. Inoltre ci sono altri fattori che possono lasciare interdetti gli ascoltatori più accaniti: per esempio la mancanza di un reale supporto di archi, sostituiti da riproduzioni elettroniche e basi registrate, che provocano lo stravolgimento di alcune canzoni, come la storica Starálfur. E se la performance è penalizzata dal volume non abbastanza alto da coinvolgere tutti, almeno le suggestive immagini che si susseguono sul megaschermo hanno il potere di affascinare e conquistare la platea. Uno dei momenti più efficaci è rappresentato da Kveikur, canzone tratta dall’ultimo omonimo album del 2013, dalle sonorità più decise. Il pubblico ha però apprezzato molto l’attenzione da parte del gruppo dell’inserimento di pezzi storici oltre ai più (relativamente) recenti. Infatti, per finire in gran bellezza, appena dopo una piccola pausa, i Sigur rianimano uno dei loro pezzi più amati, dall’infinita bellezza, oltre che lunghezza, Popplagið, lasciandoci tornare a casa con quell’aria spaesata e incantata che ci ha accompagnato per l’intera serata.

SETLIST:
Óveður
Starálfur
Sæglópur
Glósóli
Vaka
Ný Batterí
E-Bow
Festival
Yfirborð
Kveikur
Hafsól
Popplagið

folla

Ph Francesco Prandoni, 12° I-Days Festival, Monza 08/07/2016
Ph Francesco Prandoni, 12° I-Days Festival, Monza 08/07/2016
Ph Francesco Prandoni, 12° I-Days Festival, Monza 08/07/2016

E’ la prima delle tre serate di questo festival, l’I-DAYs, arrivato alla sua dodicesima edizione.
E’ un caldo venerdì di luglio e i treni, gli autobus e le tangenziali che circondano Monza cominciano ad affollarsi.
I primi arrivati nel grande spazio verde allestito all’interno dell’Autodromo di Monza possono godere delle ultime ore di sole con i primi artisti sulla line up: Michele Bravi, idolo dei teenagers italiani, e The Sherlocks, giovane gruppo indie-rock inglese, sul palco Ascari; sul mainstage invece la giovanissima cantante Jasmine Thompson apre le danze con i suoi successi pop.
Il cielo si tinge di rosa e sul palco arrivano i Bloc Party nella loro nuova formazione. Only He Can Heal Me, dal nuovo album, è il pezzo di apertura che fa avvicinare ed aggregare tutto il pubblico sotto il mainstage. Non tutti li conoscono, ma chi invece li ha scoperti fin dal loro acclamato debutto nel 2005 con Silent Alarm non può non riconoscere pezzi come Helicopter e Banquet, fin dalle prime note acclamati, cantati e saltati. Un nome, i Bloc Party, in giro sui principali palchi della scena rock-indie da più di 10 anni, eppure qualcosa non va: forse risente dei cambiamenti interni, forse i piccoli problemi tecnici o quella che sembra paura di tirar fuori la voce da parte di Kele Okereke, storico leader del gruppo, fanno sì che la performance non sia così potente ed efficace come ci si aspettava. E’ con un simpatico “arrivederci” che abbandonano il palco dopo l’inchino di gruppo.
Ma non c’è tempo di scoraggiarsi, anzi, con una breve corsetta si raggiunge il palco Ascari dove sta per esibirsi il giovane e talentuoso menestrello inglese Jake Bugg, che apre il set proprio con il pezzo di apertura, nonché titletrack, del suo ultimissimo album On My One. Inutile dire che gran parte del numeroso pubblico presente è lì solo per lui: eccolo sul palco, con pochi compagni di band (batteria e basso), vestito di nero, senza fronzoli, provvisto solo di chitarra e di una potentissima, particolare ed affascinante voce. Così come accadde al ventenne Bob Dylan di cinquant’anni fa, Jake Bugg conquista tutto il suo pubblico con quella semplicità disarmante, fatta solo di chitarra e parole, che può anche chiamarsi folk-rock. La sua evidente passione per i vecchi maestri che hanno fatto la storia del rock e per le sonorità country del Nordamerica sono però rivisitate dal suo fresco e coraggioso punto di vista inglese. Essì, perché esser diciottenni nel 2011, quando debuttò, in Inghilterra, significa esser cresciuti a pane e britpop. Quel che ne esce fuori è una miscela incandescente e imprevedibile: da pezzi salterini e ballerini come Taste It e Troble Town, che fanno impazzire la folla, si passa ai più romantici (You And Me e Love, Hope and Misery) a mani in aria, a quelli più suggestivi e cupi (Ballad Of Mr Jones, The Love We’re Hoping For) passando per i ritmi più sostenuti e potenti di Gimme The Love e Bitter Salt. A chiudere quest’ora di calda e ricca esibizione non poteva che essere Lightning Bolt, la quale, specialmente dal vivo, meglio racchiude lo spirito giovane e libero di questo ragazzo.
Sono le 22:45 spaccate, è ormai notte e le luci del palco grande, munito di consolle e megaschermo, sono accese per accogliere l’headliner della serata: Paul Kalkbrenner. Una folla sterminata occupa ogni centimetro dell’intero spazio del festival, trepidante ed emozionata, in attesa del suo idolo. I primi beat cominciano a diffondersi nell’aria, sottili e fluidi, e Paul, a quasi 20 anni di carriera, sa bene come plasmare la sua folla, riscaldandola pian piano, un passo dopo l’altro. I primi pezzi, come Battery Park e Cloud Rider, sono tratti dal suo ultimo album 7, ma come il suo fan ben conosce, nessun pezzo è uguale a sé stesso durante il live: un musicista di elettronica, come Kalkbrenner e i suoi colleghi berlinesi, prende le sue canzoni e le remixa dal vivo, donando a ogni live, così come in tutti gli altri generi musicali, nuove sfumature. Il pubblico è già carico e caldo quando, nella prima metà del concerto, comincia a risuonare la famosissima Sky and Sand. Un boato si alza dal terreno: diventata già un classico del suo genere, questa è la canzone simbolo di una nuova generazione, quella presente questa notte, che quando alza le mani al cielo il più delle volte lo fa brandendo uno smartphone e che grida “ti amo” al disk jockey, così come la precedente lo gridava ai musicisti rock. Immersi nei fumi, ipnotizzati dai giochi di luci e dalle immagini sul megaschermo, ci si lascia andare alle urla di Grace Slick della canzone Feed Your Head (contenente un remix vocale di White Rabbit dei Jefferson Airplane) acclamatissima dal pubblico. Da questo momento in poi Kalkbrenner alza il tiro, si balla sfrenatamente per un altra ora, il pubblico non vuole lasciarlo andare, fino a quando sulle note di un lungo remix di Aaron gli animi si calmano e la folla comincia a scemare.
Una parte del pubblico rimane per gli ultimi dj-set dislocati sui palchi minori, gli altri tornano a casa felici e contenti.

To be continued…

Grazie a  Vivo Concerti e al Carroponte per aver portato da Anversa all’Italia i dEUS prima  band belga a firmare per un major e ad ottenere un buon successo internazionale, grazie al loro indie rock , con sfumature grunge e alla loro indubbia qualità compositiva.

Festeggiano un ventennio di musica e bisogna dire in splendida forma e l’occasione ghiotta per tutti noi di ascoltare un concerto che ripercorre la loro intera carriera, sancita proprio dalla raccolta uscita nel 2014 “Selected Songs” di ben 30 tracce .

Puntuali, dopo gli interessanti e giovani connazionali Balthazar, il quintetto dEUS,  si presenta capitanato dai 2  membri fondatori , il cantante Tom Barman e il polistrumentista Klaas Janzoon insieme all’ interessante sezione ritmica basso e batteria oltre che dalla seconda chitarra.

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Dal disco d’esordio Whorst Case Scenario che presentò i dEUS al grande pubblico vengono proposti  i due grandi singoli “Via” e Suds & Soda oltre che alla bellissima ballad Hotellounge  intervallati a brani che hanno visto un evoluzione verso un rock più alternativo e funk degli ultimi anni come Quatre Mains in francese e ad una grande versione di The Architetct.

Tom e Klaas dominano la scena e il loro affiatamento si percepisce durante tutto il concerto, mulinando le loro braccia sul violino elettrico, synth e percussioni il primo, mentre le chitarre elettriche e classiche vanno ad appannaggio del secondo.  La voce di Tom piena e potente  caratterizza il sound dEUS ma non è da sottovalutare la performance dell’intero gruppo che dal vivo esprime un energia positiva e una grande tecnica che sul disco a volte faticano ad emergere.

Bellissima la versione di Sirens e una vera chicca industrial arriva con Slow, poi  Ideal Crash, e Ghosts  ci fanno scoprire i diversi orizzonti del mondo dEUS, completando in un ora e mezzo il percorso 94 -2014 che fin qui li ha visti protagonisti !!!

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Mark Lanegan torna in italia grazie all’organizzazione  Vivo Concerti  ad un anno di distanza per un’unica tappa  milanese del  “tour de force” europeo che lo vede impegnato praticamente tutti i giorni senza soluzione di continuità in tutte le principali piazze del vecchio continente.

E’ un occasione importante per ascoltare live molti dei nuovi brani del Disco “Phantom Radio” uscito nel finale del 2014 del quale tra l’altro né è appena stata pubblicata una versione con tutti i brani remixati da importanti dj e producer.

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Cosa dire, Mark è un artista che grazie alla sua straordinaria ed inconfondibile voce ha saputo costruirsi una carriera importante non solo per i suoi dischi, prima insieme alla band degli Screaming Trees  e poi da solista già dai primi anni 90 , ma anche e soprattutto per le grandi collaborazioni e featuring  che lo hanno visto protagonista con Queens of The Sone Age, UNKLE e Soulsavers giusto per citarne alcuni.

Vox gutturale , profonda , rauca , baritonale dalle sfumature oscure che sembra nata per interpretare tutte le note  del blues e del rock che insieme ad una slide guitar di sottofondo è in grado di dare i brividi e creare una atmosfera unica.

Ed è proprio così che inizia  il concerto di Mark Lanegan i :  la sua Voce  e la chitarra due brani stupendi a fare da ouverture ;“when yo’re number isn’t up e Judgment time tratto dal nuovo disco.

Gli altri tre elementi della band (basso , batteria e tastiere) oltre al chitarrista si materializzano al terzo brano Gravedigger Song  che  ci riporta al penultimo disco di Mark Blues Funeral uscito nel  2012 dove si era già vista una svolta compositiva ricca di  contaminazioni elettroniche che ci mostrano una Mark Lanegan in grande forma e che ha saputo far tesoro delle tante esperienze e collaborazioni con altri musicisti

Il palco con un lighting minimliasta ed in penombra crea un atmosfera  conturbante e Mark  si limita a poche interazioni col pubblico come nel suo stile ma questo nulla toglie alla grande performance che ci ha regalato anche questa volta.

Si snocciolano molti dei brani di Phantom Radio come le grandi blues ballad di Floor of the Ocean e Death Trip to Pulsa ma si pesca anche nei dischi più datati e rockeggianti con brani quali Quiver Syundrome e Gray goes Black. LA grande cavalcata danzereccia di Ode to  Sad  Disco fa da contrappunto alla più riflessiva Harbourview Hospital .

Dopo un’intensa  ora di blues, rock e psichedelia il concerto di Mark “the voice” si conclude con tre encore tra cui la stupenda Methampthetamine Blues e Killing Season per la piena soddisfazione del pubblico dell’Alcatraz che aspetterà con impazienza il suo beniamino  allo stand  per ricevere  il sospirato autografo sul merchandising di Phantom Radio .

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